Antonioni, Crepax, Scott, van Eyck. Tutti i “blow up” del mistero

Cinema, letteratura, pittura, fumetto. È un mistero lungo 500 anni quello che tiene insieme i tanti “blow up” della storia. Perché non c’è solo il capolavoro di Antonioni ad “ingrandire” la realtà per svelarne i “delitti”. Ma ecco la Valentina di Crepax, il cacciatore di replicanti di “Blade Runner” e via ancora fino al genio della pittura fiamminga Jan van Eyck. Diceva qualcuno, infatti, che il “diavolo si nasconde nei dettagli”…

“Blow-Up” di Michelangelo Antonioni

C’è un altro blow up: è del 1966, prima del film di Michelangelo Antonioni, che proprio quest’anno, a Cannes, in versione restaurata, ha celebrato i suoi cinquant’anni (leggi il pezzo di Enzo Lavagnini). E ce n’è un altro ancora: sta dentro Blade Runner il film di Ridley Scott del 1982. Tutti e due i blow up, più il Blow-Up di Antonioni hanno a che fare con l’ingrandimento di un fotogramma, e tutti e tre gli ingrandimenti svelano un delitto. E ci forniscono anche una lezione sulla rappresentazione, sull’arte e sull’arte della rappresentazione. Andiamo per ordine.

Blow up 1. Nel 1966 esce la storia a fumetti Ciao Valentina di Guido Crepax. Nata un anno prima sulle pagine della storica rivista Linus, Valentina, come molti sapranno, è una fotografa e il suo compagno Philip Rembrandt (all’inizio il protagonista dei fumetti di Crepax era lui, con il nome di Neutron, ma verrà soppiantato da Valentina) ha il potere di paralizzare con lo sguardo. Se ci pensate un momento capite già che ci sono due elementi che c’interessano parecchio: la fotografia e dunque l’obiettivo fotografico; lo sguardo paralizzante e dunque la capacità di fermare il tempo. Ma non anticipiamo troppo.

“Ciao Valentina” di Crepax quando il blow up svela l’omicidio

 

In una tavola di Ciao Valentina, Philip Rembrandt sta sfogliando un libro sul pittore Lucas Cranach il Vecchio (1472-1553) e, soffermatosi su un ritratto, osserva: «come si possano scoprire, tra i particolari dello sfondo, delle interessanti relazioni, dipendenti dal soggetto del quadro… particolari anche insignificanti… o apparentemente insignificanti».

Subito dopo, come folgorato dalla sua stessa riflessione, prende una lente e la passa sopra una serie di fotografie che ritraggono una modella sullo sfondo di un palazzo. Vede qualcosa di strano e, dopo aver fatto stampare una serie di ingrandimenti in un laboratorio fotografico, scopre che su uno dei balconi del palazzo sullo sfondo è avvenuto un delitto. Da qui, partirà la sua indagine per rintracciare chi, poche ore prima, aveva rapito Valentina proprio per sottrarle i fotogrammi che svelavano quel delitto.

Piccola parentesi. Nella storia del cinema c’è almeno un precedente illustre: La finestra sul cortile (1954) di Alfred Hitchcock, in cui un fotoreporter, interpretato da James Stewart, osservando e fotografando quanto avviene nel cortile del suo palazzo, scopre il colpevole di un omicidio.

Blow up 2. Anche in Blow-Up di Michelangelo Antonioni il protagonista è un fotografo, un flâneur dell’immagine che, annoiato, se ne va a zonzo per la swinging London dei Sessanta a scattare foto. In una di queste, tornato a casa, vedrà (o crederà di vedere) qualcosa che non avrebbe dovuto essere visto. In un particolare della fotografia, sottoposta a ingrandimenti (blow up) successivi, scoprirà che da un cespuglio alle spalle della coppia – che aveva fotografato mentre amoreggiava in un parco – spunta una pistola; e in un’altra foto, scattata pochi secondi dopo, scorge un corpo riverso sull’erba. Quel corpo, poi sparirà e non si troverà mai, facendo nascere il dubbio – al protagonista e allo spettatore – che non ci sia mai stato nessun corpo e, dunque, nessun delitto sia realmente avvenuto.

la pistola che spunta fuori nell’ingrandimento della foto. È il “Blow Up” di Antonioni

Seconda piccola parentesi. Non sappiamo se Michelangelo Antonioni avesse mai letto o visto la storia disegnata da Guido Crepax. Certamente aveva visto La finestra sul cortile ma lo spunto di Blow Up – com’è noto – è il racconto Le bave del Diavolo di Julio Cortázar.

Prima riflessione. In Blow-Up, come accade nel fumetto di Crepax, il protagonista (interpretato da David Hemmings) scopre (o crede di scoprire) un delitto da un particolare sempre più ingrandito. E per farlo ha bisogno di giustapporre i singoli ingrandimenti, deve mettere in «sequenza» i singoli fotogrammi per scoprire una «realtà» che altrimenti gli sfugge. Ha bisogno di fermare il flusso del movimento della realtà e della narrazione che scorre (guarda la sequenza del film). Ma la realtà che scopre, la «sua» realtà, la «sua interpretazione» della realtà sono, per così dire, il risultato della tecnica che ha usato, una conseguenza dell’ingrandimento fotografico, del blow up.

“Blade Runner”, la replicante nell’ingrandimento…

Blow up 3. Nel 1982, esce nei cinema Blade Runner. Il protagonista Rick Deckard (interpretato da Harrison Ford) è un cacciatore di replicanti (androidi) e, durante le sue indagini per rintracciare quattro androidi ribelli, entra nell’appartamento di Leon (uno dei ricercati) dove trova alcune fotografie. Una di esse viene sottoposta ad ingrandimenti successivi ma questa volta – aggiornate le tecnologie – non con blow up analogico-fotografici ma con una progressiva scansione video-digitale (guarda la sequenza). Deckard scopre così la presenza, nell’immagine, di Zhora, un’altra dei replicanti a cui dà la caccia. Ma nella sequenza che mostra la scansione comandata vocalmente (negli odierni telefonini ci siamo quasi arrivati), l’effigie della donna non è mostrata soggettivamente ma attraverso il riflesso in uno specchio. La donna porta al collo una collana fatta di squame luminescenti, dello stesso tipo di quelle della collana che appartiene a Zhora. Un dettaglio, un particolare, un indizio che portera

“Blade Runner”, lo specchio in cui si riflette la replicante

nno Deckard a rintracciare Zhora e, secondo il suo compito, ad eliminarla.

Terza piccola (ma non troppo) parentesi. Lo specchio in cui si riflette l’immagine della replicante è uno specchio tondo, uno di quegli specchi che deformano lo spazio come in un grandangolo e uno di quegli specchi molto usati e rappresentati in una certa pittura d’interni, soprattutto fiamminga. L’esempio più celebre sta nel quadro I coniugi Arnolfini di Jan van Eyck (1434).

Il celebre dipinto ritrae il mercante lucchese Giovanni Arnolfini e la moglie in una rappresentazione, soltanto all’apparenza realistica. Perché la tela, come molte opere dell’epoca, è ricca di riferimenti simbolici. E perché lo specchio che s’intravede sullo sfondo non si limita a fare il suo mestiere e, cioè, a riflettere i coniugi dalla parte delle spalle (quella non visibile all’occhio di chi guarda la tela) ma svela anche la presenza di due figure, una delle quali è probabilmente il pittore, autore del ritratto.

lo specchio che riflette di spalle i coniugi Arnolfini

 

Su questo quadro «misterioso» e su chi siano e che cosa «nascondano» le due fantasmatiche figure, si sono esercitati decine e decine di studiosi e, di recente, Jan Philippe Postel nel suo intrigante Il mistero Arnolfini, (Skira, 2017); saggio nel quale si cita anche la sequenza di Blow Up. Un ritratto, uno specchio e «misteriose» presenze stanno al centro di un altro celebre dipinto, Las Meninas di Diego Velazquez (1656). Sulla lettura di questo quadro e sul suo significato profondo («la rappresentazione della rappresentazione classica») si è esercitato un grande filosofo francese, Michel Foucault, in un famoso saggio contenuto nel libro Les mots et les choses (une archéologie des sciences humaines) del 1966.

 

 

Seconda riflessione. E, per ora, conclusione. Un celebre detto afferma che il «diavolo si nasconde nei dettagli» e i significati che si attribuiscono ad esso sono diversi. Nel nostro caso – i tre blow up che abbiamo esaminato – il dettaglio (il particolare ingrandito) nasconde davvero il diavolo, ovvero il delitto. Ma i tre autori, nel mostrarci il serrato dialogo tra insieme e dettaglio, tra evidente e nascosto, tra reale e riflesso, tra realtà e rappresentazione (il tutto sempre mediato attraverso lo sguardo della fotografia e del cinema), ribadiscono che la realtà non è una sola. E che il cinema è davvero una delle possibili realtà.