Cannes 71, il palmarès politicamente corretto, del festival delle donne
Palma d’oro al giapponese Kore-eda Hirokazu. Altra Palma d’oro, ma speciale, a Godard. Miglior sceneggiatura per “Lazzaro felice” e miglior interprete, l’attore per caso Marcello Fonte, spina dorsale e cuore di Dogman. Un palmarès politicamente corretto più che engagé questo dell’edizione 71, nata nel segno di #MeToo e delle donne. Ma “En guerre”, il film operaio di Stephane Brizé, è rimasto fuori, nonostante in passerella vadano di moda i pugni alzati …
Palma d’oro – annunciata – alla spiazzante umanità di Un affare di famiglia del grande autore Kore-eda Hirokazu, qui impegnato nell’affresco di un inedito Giappone sottoproletario.
Una seconda Palma d’oro, ma speciale, e questa sì a sorpresa, va all’87enne Jean-Luc Godard rimasto a secco da sempre e qui “risarcito” per Un livre d’image, oceanica riflessione sul nostro presente di guerra.
Spike Lee che torna al festival dopo 27 e saluta col pugno alzato, si aggiudica il Grand prix speciale della giuria per Blackkklansman, ironico e graffiante schiaffo contro l’America razzista di Trump. E alla Guerra fredda in bianco e nero del polacco Pawel Pawlikowski, va la palma alla regia.
Due premi, poi, alla doppietta italiana, pure questi più che annunciati, sperati. Per la sceneggiatura “bislacca” di Lazzaro felice di Alice Rohrwacher, ex aequo con quella di Three Faces dell’iraniano Jafar Panahi, costretto da anni a un regime di semilibertà e miglior interpretazione maschile all’attore per caso Marcello Fonte, spina dorsale e cuore di Dogman, il potente film di Matteo Garrone che, sicuramente, avrebbe meritato di stare ai piani più alti del palmarès.
Ma Cannes quest’anno sembrerebbe aver scelto il politicamente corretto più che l’engagé. Così che i bambini siriani – realmente di strada – del melodramma di Nadine Labaki, Capharnaum, vince il Prix du Juri. Garantendo anche la quota rosa per le registe in concorso, con due premiate su tre.
Quando ancora in molti ci chiediamo perché mai Eva Husson, la terza, ci sia finita in gara, con quel suo banale polpettone retorico (Les filles du soleil) che ha reso un pessimo servizio alla causa delle combattenti curde protagoniste. Ma che ha fornito, un tappeto rosso ad hoc per la monté di protesta delle 82 donne del mondo del cinema, in rappresentanza di Time’s up. Con la magnifica presidente di giuria, Cate Blanchett, in testa.
Doveva essere l’edizione delle donne questa 71° del festival e lo è stata. Programmaticamente. Sul palco del palmarès sale anche Asia Argento, la madre di tutti i #MeToo, colei che per prima ha denunciato le violenze di Weinstein. È qui per premiare la miglior attrice, Samal Yeslyamova protagonista di Ayka, altro doloroso – e ricattatorio – spaccato di marginalità al femminile del kazaco Sergey Dvortsevoy. Asia dal palco ricorda ancora una volta il dramma dello stupro subito, proprio qui a Cannes nel ’97, quando aveva soltanto 22 anni. “Dobbiamo aiutarci perché non accada mai più un tale comportamento indegno”, chiude concitata alzando il pugno chiuso. Anche lei.
Fa très joli il pugno alzato sul tappeto rosso. Eppure l’unico film che l’avrebbe rappresentato davvero non è entrato per niente nel palmarès. Parliamo di En guerre, il film operaio di Stephane Brizè, troppo radicale, si vede, per il politicamente corretto di Cannes e della sua giuria.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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