“Captain Marvel”, ma quale manifesto del femminismo global ? Si salva giusto il gatto
In sala dal 6 marzo (per Walt Disney Company Italia), “Captain Marvel“, la supereroina dell’universo Marvel creata nel 1967 da Roy Thomas e Gene Colan col nome di battaglia di Miss Marvel. Col volto di Brie Larson e la regia di Anna Boden e Ryan Fleck, però, questa versione cinematografica targata Disney, perde ogni originalità per ripiegare nella totale superficialità, con momenti da sit-com. Alla fine, insomma, da salvare c’è giusto il gatto …
Con Captain Marvel, col volto di Brie Larson, siamo all’ultima tappa prima di Avengers:Endgame. Il film, una regia a quattro mani firmata da Anna Boden e Ryan Fleck è incentrato sulle avventure di Carol Danvers, eroina creata nel1967 da Roy Thomas e Gene Colan col nome di battaglia di Miss Marvel, prima di divenire nel 2012 il quarto Capitan Marvel. Franchise che ancora prima di uscire ha suscitato un enorme clamore. Oltre i suoi stessi meriti?
La recluta Vers dell’esercito Kree è tormentata da sogni ricorrenti in cui vede il corpo esanime di una donna, i resti ancora fumanti di un velivolo precipitato al suolo e la sagoma di un nemico Skrull. Le immagini frammentate non l’abbandonano mai, tanto che alla vigilia della sua assegnazione ne parla con la Suprema Intelligenza, la massima autorità al comando dell’Impero.
Entrata a far parte della forza d’elite Kree in missione sul pianeta Torfa per recuperare una spia, la donna prende parte al suo primo conflitto. Rapita dal commando Skrul, esseri rettiloidi con abilità da mutaforma, riesce rocambolescamente a fuggire dalla loro nave stellare impossessandosi di una scialuppa di salvataggio. Per una pura casualità finirà sulla Terra dove tra la presa di coscienza del suo passato, dei suoi poteri e di chi sia realmente il nemico, il suo destino si compie.
Ciclicamente il cinema americano ritorna sui suoi passi in una forma di autoanalisi che rimette in discussione le vicende stesse degli Stati Uniti. Accade col western revisionista dalla parte (finalmente) dei nativi americani, e a posteriori, con le impietose incursioni nel cinema bellico d’ambientazione vietnamita. E di nuovo, quando lo scandalo a luci rosse che investì Clinton, diede il là ad un corposo numero di pellicole in cui la stessa figura presidenziale viene messa in discussione.
Quel cinema, pur non allontanandosi da momenti di puro humour e dal registro dell’intrattenimento, si pensi a quel capolavoro assoluto, che è Piccolo Grande Uomo, punta sul rigore assoluto in fatto di ricostruzione dei fatti come pure sul piano della metafora. Per contro, non è detto che il cinema d’intrattenimento per definizione, non possa volare alto veicolando sentimenti e sollevando interrogativi come accade nel magnifico X-Men di Brian Singer. Blockbuster che con tatto si concentra sulla metafora del diverso.
Tutto ciò posto, Captain Marvel non si colloca su nessun fronte. Eccessivamente disinvolto e superficiale si appiattisce su una retorica dal retrogusto demagogico incardinata sulla non più originale dinamica dei buoni in realtà cattivi e dei cattivi che sono i buoni. Gioco d’illusioni che dai più recenti James Bond a Star Wars sino allo Star Trek di Abrams, ha espresso in larga misura il suo potenziale narrativo.
Non bastasse, l’intreccio, la tensione e il ritmo sono costantemente disinnescati da momenti d’umorismo da sit-com. Per chiarezza, non beceri quanto quelli che contrassegnano I Guardiani della galassia, Thor e Ant Man ma alla lunga irritanti. Siparietti comici in cui Nick Fury diventa progressivamente la macchietta del film. Un cabarettista che indovina le prime battute salvo poi far emergere un interrogativo sulla finalità di tutto ciò. Interrogativo che s’allarga all’intero film nel suo complesso. E che fa pensare che bene abbiano fatto i titolisti ad inserire quel “basato sui personaggi Marvel” di prassi, che fatalmente suona suo malgrado come un chiarimento.
In effetti ci si domanda cosa resti della Casa delle Idee dopo il trattamento Disney che nel prendere le distanze da tutto quanto seminato nei decenni precedenti, tira dritta nella sua sistematica ma più dozzinale che chirurgica, azione di riscrittura del multiverso, rimodellandolo grazie al cinema. E nel farlo, s’incaglia nei soliti vizi. Il più macroscopico sta nell’aver cancellato la figura del Capitano originale. Quel Mar-Vell che aveva fatto grande la stagione cosmo-psichedelica avviata da Stan Lee (maggiormente omaggiato nei titoli di testa che non nella sostanza) e Gene Colan. E che qui, con buona pace per albi epocali come La vita e la morte di Capitan Marvel, diventa una donna (e siamo al già raccontato, si pensi all’Antico del Doctor Strange con le fattezze di Tilda Swinton). Scienziata ribelle intenta nella meritevole opera di salvataggio degli Skrull in modalità migrante galattico.
Il tutto sa un po’ di farsa. Compresi i ringraziamenti finali a Jim Starling. Il film si sgretola laddove emerge tutta l’ingenuità e l’estraneità della coppia di registi, sceneggiatori all’estetica e genere action. Per dire, i Kree dispongono di tecnologie avanzatissime. Sono dotati di armi ai fotoni e di campi di energia, eppure per comunicare dipendono ancora dalla radio (!).
Neanche a dirlo, saranno proprio i disturbi alle trasmissioni a consentire agli Skrull di prenderli di sorpresa sul pianeta Torfa. A questo escamotage debolissimo non si può non accostare una certa perplessità laddove gli Skrull siano alla ricerca di un misterioso motore a velocità luce da cui dipende loro sopravvivenza. La perplessità è suscitata dal fatto che, privi di propulsori che raggiungano o superino la velocità luce impiegherebbero anni per muoversi da una galassia all’altra. Come si siano allontanati tanto dal pianeta natale è un enigma.
In conclusione, cosa salvare di questo film salutato come il manifesto del femminismo global 2.0, in barba a quelle eroine realmente tutte d’ un pezzo come la Ripley di Alien, la Sarah Connors di Terminator, la Cat Woman del Batman noliano? Probabilmente il gatto. Una voracissima creatura dello spazio con sembianze feline che divora qualsiasi cosa e che si chiama “Goose”. Sottile rimando – omaggio nerd al copilota di Top Gun.
Peccato che poi il “gatto” diventi l’espediente per raccontare come Fury perderà l’occhio. E dato che una soluzione a basso costo creativo chiama l’altra, dopo una ventina di titoli che a vario modo ruotano attorno agli Avengers, finalmente svelata l’illuminante intuizione che guidò Fury nella scelta del nome del super gruppo…
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