“Farewell”, Confucio in salsa indie newyorkese. Il più bel regalo di Natale al cinema

In sala dal 24 dicembre (per Bim), “Farewell-Una bugia buona” della regista di origini cinesi Lulu Wang. Il percorso di formazione, tra ironia e affetti, di una giovane artista newyorkese nata in Cina che si ritrova in una particolare riunione di famiglia. Oriente e Occidente si danno la mano in questa commedia destinata a diventare un caso. Un film che colpisce al cuore, presentato al Sundance e passato alla Festa di Roma. Regalatevelo per Natale!

Una massima di Confucio in salsa indie newyokese. Con la colonna sonora (strepitosa) a fare da coro al percorso di formazione della giovane protagonista (strepitosa anche lei), un’artista cinese cresciuta a New York e ricatapultata inprovvisamente nella Cina della sua infanzia per una riunione di famiglia. Meglio, per un matrimonio. O forse, in realtà, per l’avvicinarsi di un lutto.

Se a Natale volete farvi un regalo di quelli che vi porterete dentro a lungo, andate a vedere Farewell – Una bugia buona di Lulu Wang, regista 36enne incoronata al Sundance che, con il suo personaggio, condivide la nascita a Pechino, il presente d’artista negli States e quella marcia in più garantita dal mix culturale tra Oriente e Occidente che alle strette è il cuore stesso del film. A indicarci ancora una volta, in tempi di sovranismi e nuovi medioevi, quale sia la strada giusta da battere per il futuro.

Quella del resto che indica Nai-Nai, anziana matriarca (la meravigliosa Zhao Shuzhen) della grande famiglia cinese (intellettuale e piena di artisti) dispersa tra Stati Uniti e Giappone che accorre al suo capezzale fingendo di riunirsi per il matrimonio di uno dei nipoti. Convinti così di “proteggere” la nonna dalla verità: un tumore che le lascia pochissimo tempo e di cui lei non sa nulla. O almeno così sembrerebbe.

Segreti e bugie in famiglia il cinema ne ha raccontati tanti. La forza di Farewell o forse, meglio, la sua sfida è raccontare al contrario – come recita il titolo italiano – il valore di “una bugia buona”, detta per affetto, per protezione, per “assumersi” in qualche modo il dolore dell’altro, come viene spiegato dalla sua mamma a Billi, l’incantevole protagonista (Awkwafina, fantastica attrice e rapper, appena incoronata ai Golden Globe), la giovane artista che deve ancora trovare la sua strada nel mondo e che, forse più degli altri, ha ancora un gran bisogno di sua nonna. A differenza di tutti gli altri familiari, infatti, lei non ci sta all’idea di mentire a Nai-Nai. “E se avesse delle cose in sospeso? Se così le togliessimo la possibilità di scegliere?”.

Lulu Wang con la semplicità delle massime di Confucio e lo stile ironico e scoppiettante di un dj in stato di grazia, capace di campionare tragedia greca, opera e rap, ci accompagna attraverso i grandi interrogativi dell’esistenza. Senza certamente contrapporre o suggerire primati tra il mondo visto da Oriente e da Occidente. Ma semplicemente mettendoli insieme, come alla fine fa la giovane Billi che, una volta rientrata a New York, vedremo finalmente trovare la sua strada.

Quella, del resto, che le aveva indicato Nai-Nai (struggente la scena del tai chi che ritorna), la quale a sua volta ha continuato a godere a lungo di ottima salute, come ci suggeriscono i titoli di coda, rivelandoci che il film è ispirato ad una storia vera. Di quelle piccole e invisibili che solo il grande cinema può rendere straordinarie e universali.