“Gabo”, viaggio da Macondo e ritorno

In sala dal 10 novembre per Cineama, il documentario dell’inglese Justin Webster dedicato allo scrittore premio Nobel Gabriel Garcia Marquez. Attraverso materiali di repertorio e le voci dei tanti che l’anno conosciuto, ricostruisce l’intero mondo letterario, politico e affettivo di Gabo. Ma senza “realismo magico”…

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La foto ricordo più significativa è a Stoccolma, nell’82, tra danze scatenate, la moglie e l’amante. A dire – finalmente – di quella debordante vitalità che i più raffinati chiamano “realismo magico” e che ha portato quel giovane poverissimo di un paesino colombiano a diventare Nobel per la letteratura e simbolo stesso dell’America Latina.

Parte da qui Gabo, film-ritratto del grande Gabriel Garcia Marquez che il regista inglese Justin Webster ha realizzato ripercorrendo, “ordinatamente”, vita e opere del grande scrittore scomparso nel 2014, attraverso bel materiale di repertorio e tante voci di amici, parenti, scrittori (soprattutto il connazionale Juan Gabriel Vásquez che fa da narratore) e celebri “fan”: il Che, Fidel Castro e Bill Clinton, pure, che i libri di Gabo li ha scoperti all’università e da allora non se n’è perso uno.

In un’ora e mezza di immagini Webster concentra la vita e l’intero mondo letterario, politico e affettivo di Marquez. A partire dalla nascita ad Aracataca nel 1927 che la sua fantasia di scrittore avrebbe trasformato nella Macondo di Cent’anni di solitudine, il capolavoro che, nel ’67, lo impose all’attenzione internazionale – permettendogli di pagare 7 mesi di affitto arretrato – e che mai nessun regista ha osato portare al cinema, come invece è accaduto per altri suoi romanzi (Cronaca di una morte annunciata di Franco Rosi, Nessuno scrive al colonnello di Arturo Ripstein e L’amore ai tempi del colera di Mike Newell).

Nel mezzo ci sono i ricordi di famiglia. La madre chiaroveggente, il padre guaritore, sedici fratelli, una nonna che parlava coi vivi e coi morti e un nonno veterano della guerra civile che attese tutta la vita la pensione, proprio come il protagonista di   Nessuno scrive al colonnello.

Il suo impegno politico, al passo da subito con la sua attività giornalistica – che rimarrà fino all’ultimo predominante -, accompagnerà Gabo attraverso la storia stessa dell’America Latina negli anni difficili che apriranno alle dittature. Di fronte al golpe di Pinochet, Marquez smetterà di scrivere dichiarando lo “sciopero letterario”. E, intanto, dopo essersi legato a Fidel e il Che – a Cuba rimase a lungo lavorando alla Prensa Latina, l’agenzia di stampa cubana – si vide costretto a scappare in Messico di fronte a un governo colombiano che lo accusa di favorire il terrorismo dei guerriglieri dell’M-19.

Nella storia che prosegue – gli anni di Escobar e dei narcos, il suo impegno per Cuba che lo spinge persino a sollecitare l'”amico” Clinton ad impegnarsi contro l’embargo, così almeno ci racconta il film – non manca l’amore di Gabo per la sua Mercedes, compagna di tutta la vita, i figli e i carichi familiari che descrivono un “padre” scrittore dall’umanità contagiosa, amatissimo dal vasto popolo non solo dei suoi lettori.

Quello che manca, invece – oltre alla sua ricca attività di sceneggiatore e il “passaggio romano” al Centro sperimentale di cinematografia – è la dimensione più irregolare, creativa e vitale dell’uomo che il regista del film esclude a favore di un personaggio “normato”, raccontato attraverso un linguaggio lineare e divulgativo seguendo standard televisivi. Il Gabo di Justin Webster, insomma, è molto lontano dal Neruda di Larrain. Ma è comunque un buon documentario che rende omaggio ad uno dei più grandi scrittori del 900.