La Mission Impossible del piccolo Mowgli

In sala “Il libro della giungla” versione 2016 di Jon Favreau, girato con la tecnica della «motion capture». Il regista di “Iron Man” aggiorna il Classico Disney alle atmosfere e ai ritmi di nuovi tempi e nuovi miti. Così che il piccolo «figlio dei lupi» sembra Tom Cruise o l’adrenalinico Daniel Craig degli ultimi 007. Da vedere…

THE JUNGLE BOOK (Pictured) RAKSHA and MOWGLI. ©2016 Disney Enterprises, Inc. All Rights Reserved.

Una ventina tra film live, d’animazione e cortometraggi, 7 serie tv, 6 riduzioni teatrali, una decina di storie a fumetti, videogiochi, preludi musicali, canzoni e molto altro. È uno dei libri più «crossmediali» della storia. È Il libro della giungla di Rudyard Kipling. Che ora è tornato sugli schermi in una nuova versione, la quarta targata Disney, dopo lo storico cartoon (1997) diretto da Wolfgang Reitherman, il film live Mowgli – Il libro della giungla (1994) firmato da Stephen Sommers, il cartoon Il libro della giungla 2 di Steve Trenbirth (2003). Ed ecco, dunque, Il libro della giungla versione 2016 di Jon Favreau, ancora una pellicola live, si fa per dire, visto che il film è girato con la tecnica della «motion capture» che è più simile all’animazione che al cinema dal vero.
Nulla di quello che vedrete (tranne il piccolo protagonista Neel Sethi nei panni di Mowgli) è reale: animali, giungle, montagne, corsi d’acqua, tronchi, alberi (a parte qualche angolo di set che è servito da sfondo) sono ricreati dal computer che riveste di zanne, peli, pellicce, zampe e code gli «attori» o le sagome ricoperte di sensori che trasformano il movimento in pixel digitali. E però – come si dice – il tutto è più vero del vero, e questo film è più vicino allo spirito originale del libro del Premio Nobel (1907) per la letteratura Rudyard Kipling (1865-1936), un volume-raccolta di una serie di racconti pubblicati su giornali e riviste tra il 1893 e il 1894.

Il confronto, più che con il libro però, va fatto con l’indimenticato cartoon del 1967, quello che ha reso noti e popolari tra i bambini (ma non solo) i protagonisti del libro di Kipling, più di quanto non abbiano fatto le spesso imposte letture delle riduzioni infantili dell’originario Libro della Giungla.

Walt Disney per il suo 19° Classico volle un film per famiglie e dichiarò espressamente che la «la gente deve venire al cinema non per “leggere” il libro di Kipling ma per divertirsi grazie ad esso». Via dunque le cupezze e le conflttuali problematiche dei rapporti tra uomini e animali e spazio, invece, alle situazioni buffe, alle gag e, soprattutto, ai numeri musicali e alle canzoni (furono sostituiti lo sceneggiatore e il musicista scelti in una prima fase).

Ne venne fuori (grazie anche alle canzoni dei mitici fratelli Sherman, e a quella celeberrima, Lo stretto indispensabile di Terry Gilkyson) un musical godibile e divertente, non privo di qualche leziosità, come l’appiccicato happy end nel quale Mowgli lascia la giungla per tornare tra gli umani, irretito da una svenevole ragazzina il cui sogno è quello che recita in una canzoncina: sposarsi, avere una casa e stare in cucina mentre il marito va a caccia.

Jon Favreau (attore, regista, sceneggiatore e produttore: suoi i primi due Iron Man e il curioso fantawestern Cowboy & Aliens) dal Classico Disney riprende un paio di canzoni e non rinuncia a qualche gag e battuta ma trasforma il tutto in una corrusca avventura della e nella giungla, che si dimentica volentieri di Kipling, e la aggiorna alle atmosfere e ai ritmi di nuovi tempi e nuovi miti ai quali i bambini e i ragazzi di oggi sembrano più abituati. Prendete, ad esempio, la sequenza iniziale di Mowgli in competizione con Bagheera durante una folle corsa in bilico su tronchi d’albero e rocce a strapiombo: il piccolo «figlio dei lupi» sembra Tom Cruise in una delle sue Mission Impossible o l’adrenalinico Daniel Craig degli ultimi 007.

E poi ci sono loro, gli animali: mamma lupa Raksha, la pantera Bagheera, l’orso Baloo, lo scimmione Re Louie, il serpente Kaa, il tigre Shere Khan e uno stuolo di comprimari e comparse. In qualche caso affettuosi, materni, giocherelloni e spiritosi (secondo l’etica disneyana) ma, al bisogno, violenti, feroci e implacabili.

Guardate Baloo, pigro e ghiotto di miele come tutti gli orsi, disposto a farsi strapazzare da Mowgli della cui incolumità e salvezza si è fatto tutore, assieme a Bagheera nel suo viaggio attraverso la giungla che dovrebbe riportarlo tra gli uomini. Ma quando Mowgli si caccia nei guai e corre seri pericoli, l’ex orsacchiotto disneyano sfodera gli unghioni, mostra i denti e atterisce l’avversario con i suoi bramiti.

Così lo scontro finale con il feroce Shere Khan è un duello che nulla concede alle zuffe cartoonesche di tanti film animati e diventa un match violentissimo e all’ultimo (o quasi) sangue. Insomma la «legge della giungla» non è solo il codice d’onore e di fedeltà, rivendicato dai lupi e dal branco, non è la tregua tra «buoni e cattivi» proclamata in tempo di siccità e che consente a tutti gli animali di abbeverarsi senza temere che il tuo vicino ti sbrani (come mostra una delle sequenze del film).

La legge della giungla è una legge naturale che poco concede alle regole sociali umane, non perché sia meno etica, ma perché quella è la sua «natura», nonostante i tentativi dell’uomo di addomesticarla e un finale del film che suona umano, «un po’ troppo umano».
Andatelo a vedere questo Libro della Giungla: perché è un film avvincente, spettacolare e tecnicamente perfetto e perché i «caratteri» dei suoi protagonisti animali sono azzeccatissimi. Merito degli interpreti umani che ne doppiano le voci: quelli americani (da Bill Murray a Ben Kingsley, da Christopher Walken a Scarlett Johansson) e quelli italiani: Toni Servillo (Bagheera), Neri Marcorè (Baloo), Alessandro Rossi (Shere Khan), Violante Placido (Raksha), Giovanna Mezzogiorno (Kaa), Luca Biagini (Akela) e Giancarlo Magalli (Re Louie). E Luca Tesei che dà voce umana all’umano Mowgli.