La notte dei diritti con gli Oscar a Del Toro e Guadagnino. E l’alba dell’Italia razzista
“Sono un immigrato” rivendica il messicano Guillermo Del Toro con i quattro Oscar per “La forma dell’acqua”. Mentre Luca Guadagnino con la sua appassionata storia d’amore gay, “regala” al novantenne James Ivory l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale, tratta dall’omonimo romanzo dell’americano André Aciman, “Chiamami col tuo nome”…
Guillermo Del Toro è il “re immigrato” degli Oscar 2018, incoranato per La forma dell’acqua con le statuette che contano (miglior regia, film e poi scenografia e colonna sonora). E Luca Guadagnino col suo film d’amore gay, Chiamami col tuo nome, “regala” al novantenne James Ivory l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale, tratta dall’omonimo romanzo dell’americano André Aciman (Guanda editore).
È stata la notte dei diritti, contro le molestie, la notte dei “diversi” e degli immigrati quella che, tra il 4 e 5 marzo, al Dolby Theatre di Los Angeles ha celebrato l’edizione numero novanta degli Oscar 2018. Fotografando una Hollywood che continua a schierarsi contro i muri razzisti eretti da Trump – vedi edizione 2017 – e decisa a proseguire nella battaglia #MeeToo.
“Io sono un immigrato” ha esordito, emozionato, il messicano Guillermo Del Toro vincitore di quattro statuette (di 13 candidature) con quella sua bella favola d’amore, politica, sulla diversità e la tolleranza. Esattamente come il suo discorso pronunciato dal palco del Dolby Theatre che parla di “linee di confine” da cancellare e da muri da abbattere. Questo è il potere del cinema, una comunità, spiega, che vive in un paese senza confini e che, invece, il resto del mondo vorrebbe rendere più profondi.
Dello stesso tenore, del resto, è stata tutta la cerimonia introdotta dal comico Jimmy Kimmel con un monologo dai toni ironici ma non troppo (“l’Oscar è l’uomo più rispettato di Hollywood e a ragione… non ha il pene”) sui temi delle molestie, della parità di genere (solo l’11% dei film è diretto da donne) e anche salariale e contro le posizioni omofobe dell’amministrazione Trump, espresse dal vice presidente Mike Pence. «Noi non facciamo film come Chiamami col tuo nome per fare soldi – ha detto Kimmel durante la cerimonia -, noi li facciamo per fare arrabbiare Mike Pence».
Delle sette candidature di partenza il magnifico Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh porta a casa la statuetta per la miglior attrice, meritatissima, alla straordinaria Frances McDormand, “madre coraggio” di una figlia uccisa da uno stupratore. Mentre quella per il miglior attore va a Gary Oldman, nei panni di Winston Churchill in L’ora più buia di Joe Wright.
Tra i film di animazione in lizza – c’era anche l’italiano, anzi napoletano Gatta Cenerentola – l’Oscar va allo straordinario Coco , l’ultimo di casa Disney/Pixar, magistralmente diretto da Lee Unkrich.
Il miglior film straniero è Una donna fantastica del cilenio Sebastian Lelio, toccante affresco sui diritti dei gender, prodotto da Pablo Larrain. E l’Oscar per il documentario va a Icarus, sullo scandalo del doping nello sport russo diretto da Bryan Fogel.
Si è conclusa così la notte delle stelle 2018 portando sul palco film che parlano di diritti e tolleranza. Mentre l’Italia, all’indomani del voto politico, si è risvegliata razzista.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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