La terra secolare della Sardegna. Da Serra a Marcias lo sguardo è doc

In sala dal 3 marzo (per  Luce Cinecittà) “Uno sguardo alla terra”, nuovo lavoro di Peter Marcias dedicato all’opera di Fiorenzo Serra (in particolare “L’ultimo pugno di terra”, del ’65), documentarista e grande narratore delle trasformazioni sociali della sua Sardegna. Un appassionato viaggio nel suo cinema per riflettere sul fare cinema, sul rapporto con la realtà, l’etica dello sguardo e le difficoltà produttive. A tutte le latitudini con le testimonianze, tra gli altri, di Wang Bing, Brillante Mendoza, Sahraa Karimi e Tomer Heymann …

Di un poeta del cinema e dei suoi committenti delusi. Il poeta è Fiorenzo Serra (Porto Torres, 3 maggio 1921 – Sassari, 28 settembre 2005), i committenti delusi sono gli amministratori della Regione Sardegna dell’epoca (anni ’60).

C’era bisogno di un’opera, di un documentario che desse ragione dello sforzo “miracoloso” in atto ad opera del piano di Rinascita della Sardegna (previsto da una legge nazionale del 1962, emanata dal primo governo Fanfani) e della conseguente modernizzazione dei processi produttivi in agricoltura e nella pastorizia, come pure dell’industrializzazione della regione con grandi imprese private di produzione della chimica di base. Ma, appunto, i committenti restarono delusi.

Stiamo parlando del documentario di Fiorenzo Serra, L’ultimo pugno di terra (1965), innesco/traccia/riscoperta per Peter Marcias e per il suo doc in controluce, Uno sguardo alla terra che dopo Milano, Londra, Guangzhou, Trieste e Visioni Italiane a Bologna, arriva in sala dal 3 marzo, distribuito da Istituto Luce Cinecittà.

Al cineasta Fiorenzo Serra, non certo un superato “retrogrado”, parve comunque strano dover fare un ritratto manicheo della sua amata isola (cantata in tanti altri suoi lavori), in cui ogni cosa del passato era soltanto “robavecchia”, da gettar via, ed il solo pregio poteva essere invece attribuito esclusivamente al futuro, allo sviluppo, al progresso: parole tante volte vuote ma capaci di imprigionare spettatori ed elettori. E infatti Serra quel film non lo fece.

Fece un altro film. Quello che si sentiva di fare.
Aprì il racconto con un convinto, per ragioni personali ed obiettive: “non c’è più tempo per la nostalgia”, ma poi passò ad analizzare proprio il rapporto tra “modernità” e “arretratezza” nei più corretti termini, per lui, non di dominio ma di conforto e maggior agio per le persone.

Raccontò di miniere e minatori, tutti ex contadini, di pastori, di tradizioni più antiche della Sardegna stessa. Della solidarietà tra i pastori, ed anche del bestiame rubato, del “rito” quotidiano del fare il pane e del ricorrente austero cerimoniale delle veglie funebri, delle vesti delle donne, dei volti degli uomini. Delle corse di cavallo di Sedilo. Del folclore e delle sue radici inestirpabili.

Ed ancora della città, del suo fascino, dell’impossibilità di non restarne abbagliati per chi venisse dalle campagne. Dello spopolamento progressivo delle campagne stesse, visto come ammonimento. E con autentico timore. Dell’atto sacro di lavorare la terra: terra materna, dove coltivare semi ed anche ricordi; terra amica o, col cambio delle stagioni, col tempo crudele, matrigna.

A vederlo ora L’ultimo pugno di terra, sembra che Serra l’abbia girato con sotto gli occhi gli avvertimenti di Pasolini, giusto di quegli anni, sulla società dei consumi e sulle mutazioni antropologiche susseguenti.

Nel bel film di Peter Marcias, coi suoi molti meriti, alle immagini del lavoro di Serra, si sovrappongono le voci di altri registi, “colleghi” di Serra, che commentano la sua opera, le sue peculiarità. Ben presto, si vedrà, il ragionamento si allarga però alla natura stessa del fare cinema, al fare documentazione, al rapporto con la realtà e con i produttori dei film.

Ecco allora registi come Vincenzo Marra, Jose Luis Guerin, Claire Simon, Tomer Heymann, Sahraa Karimi, Mehrdad Oskouei, Brillante Mendoza, Wang Bing intervistati da Peter Marcias che raccontano di Serra ma anche, e soprattutto, del loro modo di lavorare, degli aspetti etici e del rapporto con la realtà da rappresentare che loro stessi hanno. Del rapporto con la loro terra che cambia, del rapporto col documentarismo.

Della difficoltà del fare cinema ognuno nella propria nazione. Del convincimento interiore e sincero che ci vuole per fare un film che sia utile e visto. O del rapporto che si stabilisce con la politica. Oppure del non considerare il pubblico come “idiota”; di rispettarlo sempre. Del lavoro del regista in quanto tale.
Testimonianze che rendono prezioso il lavoro di Peter Marcias.

Collaborarono alla stesura dei testi de L’ultimo pugno di terra intellettuali di vario orientamento politico (da Beppe Pisanu a Giuseppe Fiori, da Manlio Brigaglia a Salvatore Mannuzzu). Il film ebbe anche la supervisione di un assai poco coinvolto Cesare Zavattini.

Ma torniamo all’inizio della nostra storia: come si diceva, nel giugno del 1964 il film di Serra venne proiettato alla Giunta Regionale a Cagliari che però aspettandosi qualcosa che somigliasse in retorica ai lavori della Settimana Incom, ne chiese una revisione. Il regista, da professionista, lo modificò per poi ripresentarlo ultimato, nella forma affatto genuflessa in cui lo vediamo oggi, nel gennaio del 1966, quando l’amministrazione regionale lo approvò.

E, miracoli della burocrazia, in quella versione “approvata” c’era ancora tutta la Sardegna di Serra: una terra che incontra il futuro, ricordando ogni giorno la pasta secolare di cui è fatta.