“Il Líder Máximo che amava il mio Sandokan”. Kabir Bedi magnifico 75enne

Il 16 gennaio Kabir Bedi compie 75 anni, mentre Lux Vide ha appena annunciato un remake della storica serie dai libri di Emilio Salgari. Per l’occasione riproponiamo l’intervista all’attore quando nel 2016 è stato ospite del Festival River To River di Firenze. “Sono stato a Cuba a febbraio, ma Fidel era già troppo malato, così ho incontrato uno dei figli: mi ha detto che suo padre era un mio fan”. L’attore indiano, monumento della cultura pop grazie al personaggio televisivo nato dalla penna di Emilio Salgari, a ruota libera sulla sua vita: “Oggi Sandokan sarebbe vittima dei pregiudizi razzisti…”

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Un monumento della cultura pop si aggira per Firenze. Kabir Bedi, occhialini e look elegante da visiting professor di Harvard o del MIT, è qui per ricevere le chiavi della città dal sindaco Nardella, in apertura del festival River To River, tutto dedicato al cinema indiano. “Italiani e indiani sono popoli molto simili”, attacca, con lo stesso vocione potente e caldo con cui guidava all’arrembaggio. “Ci piace la buona cucina, i piaceri della vita; siamo popoli con un’anima”.
Frequenta l’Italia da anni, la trova diversa ogni volta?
Naturalmente sì, sono diverse le skyline di molte città, è diverso il governo, è diversa la situazione economica… Ma il caratttere del Paese è rimasto lo stesso, solare, generoso; la bellezza di certe piazze, il modo in cui la gente ti accoglie. L’Italia, in un certo senso, è una perfetta combinazione tra il cambiamento e la continuità.
A proposito di cambiamenti, nel suo ultimo film, Mohenjo Daro (diretto da Ashutosh Gowariker, il regista di Lagaan, ndr.), interpreta il ruolo del malvagio capo del senato. È più divertente fare il buono o il cattivo?
Per gli italiani ovviamente sarò sempre Sandokan! Per il resto, la mia vita è stata costellata di ruoli di ogni genere, giovani, vecchi, belli, brutti, buoni, d’altra parte così è il mestiere dell’attore e a me piace. I cattivi spesso sono imprevedibili, sono figure potenti, psicologicamente più complessi degli eroi positivi e quindi molto più interessanti. Sandokan appartiene a una categoria a parte, non è un “buono” in senso stretto. È stato uno dei ruoli che più mi hanno impegnato, come lo è stato anche quello di Asita Muni, il saggio visionario che interpretavo nella serie indiana Buddha: King of Kings. Penso che per un attore la sfida più grande non sia tanto il ruolo che ti mette a prova fisicamente quanto quello che ti mette in gioco perché complesso psicologicamente, ricco di  sfumature.
– Più che buono o cattivo Sandokan era un ribelle, lo è mai stato anche lei?
Lo sono di natura, non potrei essere altrimenti! Perché sono un ragazzo degli anni Sessanta, la mia generazione credeva in un mondo nuovo, credeva nella rivoluzione sessuale e sociale, volevamo cambiare il mondo per sempre e in un certo senso lo abbiamo fatto. E anche dopo, da adulto, non ho mai seguito il percorso più convenzionale ma ho provato diverse strade e quindi immagino che questo faccia di me una specie di ribelle. Del resto, sono i rivoluzionari che vivono all’interno di una società, a renderla dinamica.
– E da ribelle, Sandokan sarebbe andato ai funerali di Fidel Castro?
Sono sicuro di si! (ride, ndr). Sono stato a Cuba a febbraio dell’anno scorso e ho incontrato uno dei figli di Castro che mi ha raccontato come il padre fosse un grande fan di Sandokan, come molti cubani amava le tigri di Mompracen. Avrei voluto incontrarlo ma le sue condizioni di salute erano già brutte e non è stato possibile.
– Che impressione ha avuto di Cuba?
Non assomiglia a nessun altro posto nel mondo; tante cose sono straordinarie, l’educazione scolastica gratuita per tutti, la salute, la possibilità di avere una casa, ma anche la loro incredibile scena musicale… d’altra parte il salario medio di un cubano è sui 40 euro al mese, le ragioni per cui tanti di loro sono fuggiti a Miami sono ben note a tutti. Nei prossimi anni la società dovrà attraversare cambiamenti necessari. Ho sempre ammirato Fidel per come ha saputo difendere la sua isola dagli americani. Per decenni gli Stati Uniti hanno invaso tutti i paesi che hanno voluto, ma non sono mai riusciti a farlo con la piccola Cuba e di questo gli va dato atto.
– Per cosa è più importante combattere oggi? 
Per tante cose; per difendere la terra contro l’aggressività di aziende che impongono le coltivazioni geneticamente modificate; per la libertà di parola, che non va mai data per scontata, la si può perdere in ogni momento.
– Sono note le sue battaglie al fianco delle donne indiane.
L’India ha fatto molti passi avanti in questo senso. C’è una lobby molto forte che si batte con successo contro le discriminazioni e ha ottenuto il passaggio di leggi che sostengono i diritti, puniscono le violenze domestiche. Abbiamo donne ministro, donne a capo di aziende… Magari nei villaggi dell’India rurale le cose non sono ancora cambiate ma nelle città sì, e si vede.
– Lei è stato un idolo per intere generazioni di ragazze con il poster di Kabir Bedi appeso sopra il letto.
Grazie del complimento! Sa, a noi attori piace essere apprezzati anche fisicamente (ride, ndr). Ma la cosa più straordinaria per me sta nel fatto che dopo quaranta anni siamo ancora qui a parlare di Sandokan, quanti altri eroi televisivi di allora le vengono in mente? Che siano conosciuti sia dalle vecchie che dalle nuove generazioni, dai nonni e dai nipoti?
– Era un mondo in cui l’immigrato straniero non esisteva, oggi forse Sandokan rischierebbe di dover lottare anche contro i pregiudizi di molti razzisti?
Temo proprio di sì…
– Più di cento film, tanta tv (anche Beautiful, General Hospital, Un medico in famiglia, L’Isola dei famosi…), il successo internazionale; cosa sogna per il futuro?
Ho sempre pensato che, come dicono, il meglio deve ancora venire. Sogno ruoli che continuino ad essere una sfida. Prossimamente mi vedrete in The Broken Key (del regista torinese Louis Nero, con protagonisti Rutger Hauer e Geraldine Chaplin, ndr), una storia di mistero e manoscritti da decifrare per scoprire cosa c’è dietro il nostro presente…
– Intanto si è sposato per la quarta volta (con Parveen Dusanji, ndr).
Non imparo mai, vero?!? Fra l’altro eravamo a Roma quando le ho fatto la proposta, sulla scalinata di piazza di Spagna; era il posto perfetto e il momento perfetto, stavamo insieme da quattro anni, e ce ne sono voluti altri sei perché ci decidessimo a farlo veramente. Parveen è parecchio più giovane di me, ma è bravissima a darmi equilibrio, a mettere armonia nella vita complicata di un attore.
– Parlando di famiglia, lei ha avuto dei genitori piuttosto speciali…
Ci sono al momento tre scrittori che stanno lavorando per fare della loro vita il soggetto di un film. Le ricerche storiche sono molto impegnative, si va dalla Oxford degli anni Trenta, – dove mio padre studiava filosofia e dove ha conosciuto mia madre, inglese -, all’India dove sono tornati insieme e dove io sono nato. Insieme hanno anche combattuto per l’indipendenza del paese, mia madre si è poi avvicinata alle religioni orientali, in particolare al buddhisimo, è stata amica del Dalai Lama. La loro vita è stata un meraviglioso viaggio, spero di portarla molto presto al cinema.