Lo scrittore premio Nobel che rifiutava i premi

In sala dal 24 novembre (per Movies Inspired) Il cittadino illustre di Mariano Cohn e Gastón Duprat che ha fatto guadagnare la coppa Volpi al protagonista: Oscar Martínez. Uno scrittore premio Nobel allergico ai riconoscimenti accetta di tornare nel suo paesino d’origine per ritirarne uno. Un piccolo gioiello che chiama in causa indirettamente il nesso tra cinema e scrittura. Da vedere…

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Presentato al festival di Venezia 2016, dove il protagonista Oscar Martínez ha vinto la coppa Volpi come migliore interprete maschile, il film argentino Il cittadino illustre di Mariano Cohn e Gastón Duprat (prodotto da Fernando Sokolowicz e distribuito da Movies Inspired) approda finalmente sui nostri schermi dal 24 novembre.

La storia in breve: dopo avere rifiutato prestigiosi riconoscimenti in tutto il mondo, il premio Nobel per la letteratura Daniel Mantovani accetta di recarsi nella propria città natale, Salas, un centro della provincia rurale argentina da cui manca da oltre trent’anni e dove è stato invitato a ricevere il più alto riconoscimento del suo paese, la medaglia di Cittadino illustre.

Per Daniel Mantovani si tratta di una specie di ritorno alle origini, dato che quel luogo e i suoi personaggi hanno costituito la fonte di ispirazione di molti suoi romanzi. Ben presto però lo scrittore si rende conto che accettare l’invito è stato un errore. Dopo la prima accoglienza trionfale, infatti, lo scrittore deve affrontare una serie di prove, che lo mettono di fronte a una dura realtà: la sua presenza in quel luogo è fonte di risentimenti e gelosie, di richieste assurde e delusioni reciproche.

Il viaggio di Daniel Mantovani è raccontato benissimo, offre a Oscar Martínez l’opportunità di rappresentare un personaggio ricco di implicazioni e sfumature, forse avendo in mente una figura a un tempo sudamericana e globale come Gabriel Garcia Marquez, e si presta a una serie di considerazioni.

La prima e più ovvia ha a che vedere con il vecchio adagio “nemo propheta in patria”. Raramente un adagio di origine antica ha trovato espressione così convincente nel cinema, tanto più se si considera la ferita aperta nell’orgoglio dell’Argentina. Paese che, pur vantando importanti scrittori (Borges prima di tutti), non ha mai ricevuto un riconoscimento come il Nobel per la letteratura.

La seconda riguarda il rapporto tra letteratura e realtà, qui trattato con un approccio mai banale e perfettamente intrecciato con la vicenda narrata. Le considerazioni che Daniel Mantovani fa all’atto della consegna del Nobel, in occasione delle sue conferenze di fronte a un pubblico distratto e indifferente, ma anche negli incontri con i personaggi del film (ad esempio il portiere dell’albergo aspirante scrittore), non sono affatto retoriche, astratte, ma hanno a che fare con il rapporto misterioso e profondo tra realtà e fantasia, chiamando in causa indirettamente il nesso tra cinema e scrittura.

Ma c’è un terzo elemento che fa di questo film un piccolo gioiellino, ed è la descrizione dell’ambiente e dei personaggi. Viene in mente, per restare nei nostri paraggi, Benvenuti al sud, o analoghe prove del cinema francese. Qui però siamo mille miglia lontani dagli stereotipi, dai luoghi comuni e dai paesaggi turistici.

Al di là di una certa meccanicità nella costruzione delle scene, e nella scansione della storia inutilmente divisa in capitoli, gli incontri con i vecchi amici e con tutto ciò che ricorda il passato, la retorica dei discorsi ufficiali, i festeggiamenti, le manifestazioni del provincialismo asfittico e ipocrita, tutto ciò risulta più vero del vero. E anche se non succede nulla, il solo indugiare della macchina da presa sulle strade deserte, sui paesaggi malinconici e desolati, sui volti silenti delle persone, dice più di mille parole. Anzi, è proprio qui che il film si fa più convincente, entrando sotto pelle e lasciando un segno nel cuore e nella testa dello spettatore.