Marina Piperno, il “mio” cinema della memoria. Non solo nel Giorno della memoria

È stata la prima donna produttrice nell’Italia dei Sessanta. “Cinema etico” il suo, cinema militante e soprattutto, cinema della memoria, quella tragica della Shoah che ha vissuto da bambina ebrea nella Roma delle leggi razziali. Marina Piperno si racconta in un’intervista (di qualche tempo fa pubblicata su l’Unità). Mentre il 25 gennaio alla Casa delle traduzioni a Roma (ore 17.30) sarà proiettato l’ultimo lavoro, firmato da Luigi Faccini, “Diaspora- Ogni fine è un inizio“. E il 28 gennaio (15.30) a Palazzo Valentini a Roma, “Rudolf Jacobs, l’uomo che nacque morendo”…

“Cinema etico”. L’ha sempre definito così Marina Piperno il “suo” cinema, quello che ha prodotto in quasi cinquant’anni di attività, di cui gli ultimi 30 condivisi col suo compagno, Luigi Faccini.

Lui regista di sguardi “sovversivi”: sulla memoria (C’era una volta gente appassionata, Il pane della memoria, Rudolf Jacobs, l’uomo che nacque morendo e Diaspora- Ogni fine è un inizio), la malattia mentale (Inganni), l’emarginazione delle periferie (Giamaica, Notte di stelle).

Lei, produttrice: la prima donna nell’Italia dei Sessanta ad intraprendere un mestiere tipicamente maschile, occupandosi di “controinformazione” coi documentari sulle lotte di liberazione africane (Il bianco e il nero, Noi siamo l’Africa di Ansano Giannarelli) o le esperienze collettive di cinema militante di Zavattini (I cinegiornali della pace).

E tutto, con occhio sempre attento alla memoria drammatica della Shoah che Marina ha vissuto da bambina ebrea nella Roma delle leggi razziali, costretta ai nascondigli nei sottoscala con la sua famiglia. Non è un caso, infatti, che il “suo” primo film sia stato (nel ’61) 16 ottobre ’43 rievocazione della drammatica deportazione degli ebrei di Roma, per la regia di Ansano Giannarelli, suo primo compagno.

A raccontare tutto questo ora c’è un film: Storia di una donna amata e di un assassino gentile, presentato al festival di Torino. Lo produce Marina Piperno. Lo firma Luigi Faccini che, per convincere la sua “musa a concedersi all’immortalità dello schermo”, racconta sorridendo, ha impiegato otto mesi.

“Otto mesi di resistenza al mio tentativo di riprenderla durante le sue giornate”. Poi ha ceduto. Il lavoro è andato avanti dal Natale 2007 al giugno 2009, per un totale di cento ore di girato. Ne è venuto fuori un film di oltre tre ore, diviso in sette capitoli, in cui la vita e il lavoro di Marina si intrecciano alla storia del Novecento.

Gli anni Trenta, la guerra, l’orrore della Shoah. Le foto della famiglia Piperno si affiancano al repertorio dell’Italia fascista. Marina tira fuori un numero de La difesa della razza, ne legge la gerenza: Giorgio Almirante è il segretario di redazione. La guerra finisce. Ed ecco l’America, quella del maccartismo, dove Marina, in visita ai cugini, terrorizza tutti dicendo di essere comunista.

Poi arriviamo a Che Guevara, il Vietnam. Marina è già sulle “barricate” del cinema militante. Sempre pochi soldi e rischiando di persona, magari pagando cambiali per vent’anni, come per Sierra Maestra di Giannarelli.

Ma intanto con Labanta Negro di Pietro Nelli sulle atrocità del colonialismo portoghese in Guinea Bissau, arriva all’Onu.
Nei Settanta, poi, l’incontro con Faccini. Insieme e primi fra tutti arrivano nelle sterminate periferie romane. Tor Bellamonaca, il laboratorio teatrale coi ragazzi, coi quali nasce Notte di stelle e Giamaica, in memoria di Auro, il ragazzo bruciato dalla follia naziskin. Negli Ottanta, poi, ancora un’impresa: la produzione del primo film da regista e interprete di Zavattini, La veritàaaa.
“Cesare aveva ottant’anni – racconta Marina – e nessuna assicurazione l’avrebbe coperto. Ma anche in quel caso ho deciso di rischiare e abbiamo fatto senza”.

I ricordi di Marina sono un flusso di memoria che cattura. E il suo volto, orgogliosamente segnato dal tempo, rapisce lo sguardo. È la verità di chi ha sempre fatto delle scelte. E le continua a fare. Come nel nuovo film: Rudolf Rudolf Jacobs, l’uomo che nacque morendo, storia dell’ufficiale nazista che si unì alla resistenza lunigiana nel’44: “Sarà un’inchiesta – conclude Faccini – che, a partire da una storia di ieri, racconterà l’oggi senza memoria”.