Oscar 2017: con “Moonlight” e “Il cliente” vince il cinema che sa di teatro
Trionfo per “Moonlight” e “Il cliente” (tutti e due in sala per Lucky Red) entrambi ispirati dalla letteratura teatrale. “La La Land” segue il vincitore con sei Oscar. “Fuocoammare” non arriva alla vittoria scalzato dal doc su O.J. Simpson. Gaffe e proteste contro Trump per un’edizione che si fa politica e incorona il “black power”…
È Moonlight il miglior film 2017, nonostante l’incredibile gaffe con lo scambio di buste a “favore” di La La Land. Ed è Il cliente il miglior film straniero. Mentre Fuocoammare di Gianfranco Rosi non ce l’ha fatta.
L’edizione numero 89 degli Academy Awards, insomma, conferma ancora una volta la tendenza di un cinema che sempre più trova ispirazione nella letteratura e, in questo caso, quella teatrale.
Nonostante le 14 candidature, infatti, il super favorito musical di Damien Chazelle (a cui per un errore che resterà storico viene consegnata la busta con l’Oscar per il miglior film) porta a casa sei statuette (regia, attrice, colonna sonora, canzone, fotografia e scenografia) ma non quella più ambita, per il miglior film, che va all’opera seconda di Barry Jenkins, dalla pièce del drammaturgo Taren Alvin McCrany, Moonlight, appunto: educazione sentimentale di un ragazzino gay nel ghetto afro di Miami. Che si aggiudica pure l’Oscar come miglior sceneggiatura non originale (firmata dal regista e dal drammaturgo) e quella per l’attore non protagonista, Mahershala Alì.
Dalle tavole del teatro – e che teatro! – arriva anche Il cliente, magnifico e personalissimo adattamento di Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, firmato dall’iraniano Asghar Farhadi che vince il suo secondo Oscar e, con la sua assenza (leggi qui), dà un colore ancora più politico a questa notte delle stelle che la Hollywood democratica ha voluto “vetrina” di protesta contro Trump. A cominciare dal discorso d’apertura di Jimmy Kimmel (“Devo proprio ringraziare il Presidente Trump. Vi ricordate quando l’anno scorso dicevano che l’Oscar era razzista?”) passando dal fiocco blu per i diritti civili indossato dall’attrice Ruth Negga e dalla modella Karlie Kloss (proprio sul vertiginoso spacco), proseguendo con la dedica “a tutti gli immigrati” che lancia dal palco Alessandro Bertolazzi ricevendo la statuetta per il miglior trucco in Suicide Squad.
“La mia assenza è un atto di rispetto per i miei concittadini e per i cittadini della altre sei nazioni che hanno subìto una mancanza di rispetto a causa di una legge disumana che ha impedito l’ingresso negli Stati Uniti agli stranieri”, scrive Asghar Farhadi nella lettera letta con emozione dall’ astronauta Anousheh Ansari e dallo scienziato della Nasa Firouz Naderi, strappando la standing ovation del pubblico del Dolby Theatre di Los Angeles . “Dividere il mondo fra noi e gli altri, i nemici, crea paure e crea una giustificazione ingannevole per l’aggressione e la guerra – prosegue il testo -. E questo impedisce lo sviluppo della democrazia e dei diritti umani in paesi che a loro volta sono stati vittime di aggressioni. Il cinema può catturare le qualità umane e abbattere gli stereotipi e creare quell’empatia che oggi ci serve più che mai”.
A conferma del messaggio di Farhadi fa eco la scelta del sindaco laburista di Londra Sadiq Khan, musulmano e figlio d’immigrati, che a Trafalgar Square ha raccolto diecimila persone di fronte alla proiezione su maxi-schermo de Il cliente, in contemporanea con la cerimonia degli Oscar.
Anche la statuetta a Viola Davis, come miglior attrice non protagonista al fianco di Denzel Washington in Barriere, conferma la preferenza di questi Oscar per gli adattamenti dei testi teatrali. In questo caso la pièce del premio Pultitzer August Wilson, celebre cantore del mondo e delle battaglie black, un universo che, dopo le accuse di razzismo dell’anno scorso, il palmarès 2017 ha incoronato alla grande (leggi articolo).
Lo dimostra anche l’Oscar per il miglior documentario che, scalzando Fuocoammare di Gianfranco Rosi, è andato al favoritissimo O.J.: Made in America di Ezra Edelman: 7 ore di potetente racconto sulle drammatiche vicessitudini del celebre attore e campione di football americano nero che, dopo l’accusa di aver ucciso la moglie e un amico, è nuovamente in carcere per rapina a mano armata e sequestro di persona.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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