“Our Soul at Night”, elogio del camminare insieme
Dal 29 settembre su Netflix, Jane Fonda e Robert Redford, Leoni d’oro alla carriera, di nuovo insieme per “Our Soul at Night”, dall’omonimo romanzo di Kent Haruf. Una riflessione sul tempo, soprattutto quello da condividere nel quotidiano. Un film cucito addosso ai due protagonisti. Tolti loro, infatti, della pellicoa resta ben poco…
Quattro accordi di chitarra country spazzano via cinquant’ anni di vita coniugale. Our Soul at Night. Periferia di Denver, Colorado è qua che il racconto ci conduce. È notte e il fiato corto di un attacco di panico per Louis, l’ottantenne Robert Redford di oggi, ci rimandano, in un attimo, ad altrettanto fiato corto nel petto del venticinquenne Paul, dopo i cinque piani a piedi fatti per raggiungere il suo appartamento newyorchese di A piedi nudi nel parco.
Accade che in una notte appena nata Jane Fonda, fragilmente decisa, bussa alla sua porta e come cinquant’anni prima la giovane Cori romantica, vitale e appassionata chiede a Louis un sogno di vitalità e spregiudicatezza…. “Dormiamo insieme?
Pensaci!”. È così che il tempo spazza via le ancore di una vita e di un passato-presente fatto di felicità negate e sconfitte mai sepolte.
Questo è il tema di Our Soul at Night tratto dall’omonimo romanzo di Kent Haruf (in Italia, Le nostre anime di notte), passato al Festival Fuori concorso e adattato per lo schermo Netflix da Scott Neustadter e Michael H. Weber, per la regia dell’indiano Ritesh Batra: il tempo. Jane Fonda e Robert Redford di nuovo in coppia, ci parlano del tempo. Nei panni dei due anziani Addie Moore e Louis Waters ci raccontano del tempo che allo sguardo implacabilmente segna il volto e mette radici.
Sono radici che vanno nel profondo, traggono linfa da felicità e tormenti, da lutti e nascite, radici catene. I due protagonisti, si ritrovano nel notturno quotidiano, libertà e legami scomodi, conformisti tipici delle piccole e periferiche città statunitensi.
Dichiara Jane Fonda a proposito della sua personalità e quella del vecchio Bob: “Siamo hippies mascherati da gente perbene”… Ed è proprio così che la ritroviamo nel film, con i suoi capelli grigi, distratti ma curati quasi fosse uscita da una canzone di Carole King.
Il tempo nel film è qualcosa di immaturo e imminente, segna confini e traccia fossati, sembrano invalicabili, mostra ed evidenzia il limite e la sconfitta. Separa quello che è possibile da ciò che non lo è, esalta il pudore, la castità fino all’assoluta impossibilità di comunicazione, separa l’umanità in due categorie, gli uomini, al caffè stop e le donne al mercato.
Ed arriva fino al gelido isolamento fatto di borghesi convenzioni mortali. È in questo contesto che Addie Moore introduce il gesto che tutt’altro che rivoluzionario, rivoluziona la sua vita riportandola al più semplice e infantile gesto di spontaneità disperata ed eroica, chiede al vicino di casa quasi sconosciuto Louis Waters di condividere una prima notte insieme, dichiara la voglia di tagliare le radici e quel suo tempo che ha cresciuto e coltivato per 48 anni.
Un gesto infantile eppure eroico, un gesto che riporterà l’orologio del tempo ad azzerare spazio e convenzioni.
Il tempo che vediamo sullo schermo è un tempo di romantica e pudica sensibilità adolescenziale, un tempo di assoluta fragilità emotiva, vissuto nell’intimità di un borghese letto a due piazze.
Si snoda la matassa del tempo, si sciolgono nodi e si comunica nell’assoluta privacy di quattro pareti nascoste agli occhi dei vicini maturi e stanchi. Il timer riparte, Louis e Addie tornano a vivere un tempo fatto di esperienze passate e nuove esperienze future, la scelta della condivisione è qualcosa che li libera della loro storia.
Al padiglione coreano della biennale d’arte a Venezia un’stallazione, un cubo 3×3 con pareti interamente tappezzate da orologi murari, ognuno dedicato ad una persona vivente, riporta la personale percezione del tempo veloce-lento, e restituisce la gravità-leggerezza del tempo che ognuno di noi vive.
Guardando il film la domanda che ci si pone è: davvero l’amore può risolvere una vita?
Lunghi applausi in sala Darsena alla proiezione per la stampa. Che vanno soprattutto ai due divi a cui il film è cucito addosso e che si portano via un meritato Leone alla carriera. Per il resto alla pellicola non resta molto, se non, appunto, quell’elogio alla condivisione, al gusto del camminare insieme nel quotidiano che, alla fine, Our Soul at Night dignitosamente esprime.
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