Paul Verhoeven, l’arte di fare grandi film da brutti libri

È il caso di “Elle” – in sala dal 23 marzo per Lucky Red – film strepitoso nato dal romanzo “Oh…” di Philippe Dijan, incentrato sul più vergognoso esercizio del potere maschile come lo stupro. E che il 78enne Paul Verhoeven, ben abituato a scandali e provocazioni, fa rivivere attraverso una specie di resurrezione nobile passando dalla pagina scritta allo schermo. Con una Isabelle Huppert da Oscar…

Domanda: come fa un film strepitoso come Elle a nascere da un romanzo come Oh… di Philippe Dijan ?
Risposta: in barba a chi l’ha dato periodicamente per bollito, Paul Verhoeven a 78 anni è ancora un signor regista, provocatore per consuetudine e vocazione, e adesso, dopo un César e un Golden Globe (doppiati dai premi gemelli a Isabelle Huppert e dalla nomination all’Oscar) magari potrà continuare a lavorare. Hanno tutti una fretta indiavolata di mandare i Grandi Vecchi in pensione.

Confesso che il film l’ho visto due volte, mentre il romanzo (portato in Italia da Voland) l’ho bevuto in un paio d’ore. Ma la materia, che in sé è abbastanza rognosa, politicamente ma soprattutto sessualmente scorretta, vive una specie di resurrezione nobile passando dalla pagina scritta allo schermo.

La materia è lo stupro, il più vergognoso esercizio del potere maschile. La vittima, che si rifiuta di adeguarsi al ruolo di vittima e di essere vista come tale, è la cinquantenne rampante Michèle, al secolo M.me Huppert.

Femmina Alfa, Michèle governa con pugno di ferro la sua Factory di videogames ad alto voltaggio di violenza e erotismo, e domina con glaciale cinismo la vita dell’ex marito scrittore, del figlio succube, dell’amante che è anche consorte della sua socia nonché migliore amica. Un giorno uno sconosciuto mascherato la aggredisce in casa, la malmena e la violenta. Michèle non sporge denuncia, si attrezza con asce e spray al peperoncino, si allena al poligono. A cena racconta il fattaccio agli amici senza fare una piega.

Il violentatore si rivelerà essere il dirimpettaio, broker irreprensibile con moglie bigotta. Vicino con cui Huppert avvia un ambiguo rapporto di seduzione, fair play nella vita sociale, sesso violento (e botte) in quella segreta. Sadomaso allo stato puro, ma con le platee femminili si scherza col fuoco. Troppe volte, e per troppo tempo, l’adagio “vis grata puellae” è servito da lasciapassare, nei tribunali, agli stupratori. Ma il sesso estorto fa parte delle fantasie erotiche femminili: è Michèle a pretendere dal suo staff di creatori videogames più perversi, penetrazioni più cruente.

Ora, nel libro si tratta di un “normale” caso di perversione condivisa, solo per caso troncata dall’intervento del figlio che spacca la testa all’aggressore vestito da Diabolik. Il film invece è meravigliosamente ambiguo: cova la vendetta Michèle, sta giocando al gatto e al topo, pregusta il castigo finale? Oppure tutto questo fa parte del gioco ? Verhoeven ha cambiato le carte in tavola.

Che bellezza parlarne con il regista: è tutto vero, la sua regola è di non fornire mai letture precise allo spettatore. Lo stupratore colpito a morte gronda sangue e Huppert sorride, come se stesse pensando: “È quello che ti meriti, stai pagando per quello che hai fatto a me e a chissà quante altre”.

Quel sorriso è puro “Verhoeven touch”. “Ambiguity”, dice l’uomo di Basic Instinct, di Starship Troopers, di Show Girls. Tutti film che mi hanno fatto incazzare, all’inizio. Poi, vedendoli e rivedendoli, li ho rivalutati alla grande. Lui li rovescia, i libri. Lo fece anche per Starship Troopers (Fanteria dello spazio di Robert A. Heinlein, Mondadori) che era un romanzo di estrema destra ma che lui ha ribaltato attingendo all’iconografia nazi di Leni Riefenstahl.

Vent’anni fa lo accusai di aver fatto un film fascista. Sono contenta di essermi, dopo tanto tempo, potuta scusare.
L’altra “variante” rispetto al libro è perfida e geniale: morto il marito, la moglie bigotta praticamente ammette di essere stata al corrente del “vizietto” del marito. È una cattolica praticante e devota, del tipo estremo, che a Verhoeven non piace per niente: “Sono proprio quelli che coprono i pedofili”. Amen.

Detto questo, Elle è pervaso da un humour noir raggelante che strappa continue risate a scena aperta. Quando Huppert (che alla sua cena natalizia ha invitato anche l’ex marito con la maestra di yoga sua ultima fiamma e la madre decrepita col gigolò che intende sposare) racconta al vicino del suo papà condannato all’ergastolo, lo fa con un siderale sorriso.

Era bambina quando il genitore sterminò 27 vicini di casa, più sei cani e un paio di gatti. Un “caso” che fece storia nella cronaca nera. “Un criceto invece lo ha risparmiato, chissà perché ?” Traumi pregressi, odia “il mostro”suo padre, anche lui buon cattolico, ci informa Elle. Tutti bravi borghesi.  Michèle non è senza cuore, ha solo imparato a difendersi. E tutti i maschi del film sono un disastro: puerili, bugiardi, deboli, narcisisti, patetici.

Misogino, antifemminista, pro-stupratori ? Verhoeven ci ha detto che con sua enorme sorpresa Elle è stato il suo film meno controverso e meno contestato. “Meno male, saranno in meno a doversi scusare, come te, tra vent’anni, del  misunderstanding”. Forse perché le due donne, alla fine, si lasciano i maschi alle spalle. Subalterne ? Ma quando mai: andranno avanti da sole, più libere. Esattamente com’è nella vita. Per ora il sorpasso ancora ce lo stanno facendo pagare. Col sangue, il più delle volte. Profeta Verhoeven, speriamo !