Piccole donne troppo cresciute. Se l’adattamento è fabbricato per l’Oscar

In sala dal 9 gennaio (per Warner Bros) la nuova, ennesima versione di “Piccole donne” firmata da Greta Gerwig. Negli ultimi cento anni cinque film hanno “almeno” provato a rispettare Louisa May Alcott. D’ora in poi, liberi tutti di stravolgere secondo l’estro, riassemblando epoche e storie alla rinfusa che fa tanto “autore”. Riabilitando come paladina del femminismo la più frivola delle sorelle March, la dodicenne Amy, qui nel corpo della ventiquattrenne Florence Pugh. Oltre che puntando sul top trendy per gli interpreti maschili: Timothée Chalamet che giggioneggia nel ruolo di Laurie e Louis Garrel in quello del “datato” professor Bhaer, qui giovane e sexy …

Emma Watson, Saoirse Ronan, Florence Pugh ed Eliza Scanlen in “Piccole donne”

Notizia: c’è un fai-da-te di Piccole donne – il testo-base che da un secolo e mezzo educa, non per modo di dire, piccole donne lettrici ai diritti di parità – pronto da ricalcare. Da nuova icona dell’intelligentia newyorchese fighetta, Greta Gerwig dà semaforo verde alla fabbricazione domestica di trasposizioni su schermo a misura del proprio ego e dei propri traguardi.

Negli ultimi cento anni cinque film, due versioni animate, una serie tv BBC e innumerevoli riletture locali (da noi lo storico sceneggiato di Anton Giulio Majano, in bianco e nero ) hanno “almeno” provato a rispettare Louisa May Alcott. Acqua passata. D’ora in poi, liberi tutti di stravolgere secondo l’estro.

Il Piccole donne che esce da noi il 9 gennaio detta le regole della deregulation. Istruzioni per le/gli interessate/i :
1) Separare i capitoli di Piccole Donne e Piccole donne crescono, versarli in un recipiente capiente, agitare e riassemblare il tutto alla rinfusa, con beata incuranza del “prima” e del “poi”. È autoriale e “fa tanto Malick”. Chi non si raccapezza si arrangi.

2) Riabilitare come paladina del femminismo quella sciocchina di Amy, la più frivola delle sorelle. Qui forzare il testo è un’impresa titanica. Povera Alcott. Infila i suoi grembiulini di dodicenne a una ragazzona ventiquattrenne ben sviluppata come Florence Pugh, e l’effetto comico è garantito. Liz Taylor aveva 17 anni nel classico di Melvyn LeRoy (1949), Kirsten Dunst 12 nella ragionevole trasposizione di Gillian Armstrong (1994). Dettagli.

3) Arruolare in coppia Meryl Streep e Laura Dern (rispettivamente zia March e mamma-Marmee), abbinate come nella seguitissima seconda stagione tv di Big Little Lies. La dipendenza diffusa da serie è una patologia accertata. Fidelizzare i consumatori conviene.

4) È strategico puntare, per i maschietti, sul top trendy su piazza: il Timothée Chalamet di Guadagnino e di Woody Allen – con licenza di gigioneggiare nel ruolo di Laurie – e il golden boy gallico Louis Garrel. Il professor Bhaer del romanzo era un immigrato tedesco morto di fame nonché, diciamolo, sgradevolmente in età. Poco chic. Meglio rifarlo giovane, sexy, elegante e pronto a sedurre tra danze e interiors stilosi.

5) È imperativo abbondare – con anacronistica disinvoltura – in smanazzamenti camerateschi tra teenagers e adulti ambosessi : come potrebbero, in caso contrario, i liceali del 2020 riconoscersi negli eroi della storia e pagare il biglietto ?

6) Basta un po’ di photoshop metaforico e qualche battuta inverosimile (“Ho passato la vita a vergognarmi di questo Paese”, dichiara, forse pronosticando il Vietnam, mamma Marmee) per fare delle sorelle March nostre perfette contemporanee. Basta inventare una Jo smaliziata che contratta i diritti con l’editore per accreditare un prodotto di lusso come manifesto del femminismo modaiolo.

Le faticose battaglie di Louisa May Alcott- abolizionista, paladina del suffragio femminile, trascendentalista sociale e single per scelta, nell’America del secondo ‘800 – frutteranno consensi diplomatici anche in seno all’ Academy. L’operazione di riciclaggio è studiata a freddo. Le donne in carriera di Hollywood sono sul piede di guerra. Cavalcare il “sessualmente corretto”, in tempi di #MeToo, paga. Paga per un’autrice a caccia di statuette.

Sono una fan appassionata della Alcott. Resto persuasa che la spigolosa Jo incarnata da Katharine Hepburn settant’anni fa si mangi con tutte le scarpe anche quest’ultima, irruenta e certamente simpatica Jo di Saoirse Ronan (a lei Greta Gerwig deve la sua immeritata candidatura all’Oscar per Lady Bird). Altre scelte sono furbizie da mainstream, come la troppo leziosa Emma Watson (la celeberrima Hermione di Harry Potter), che è una Meg senza palpiti.

Ricordo la devozione del mio pellegrinaggio, poco più che ventenne, alla Orchard House di Concord, Massachussets. La vera casa di Piccole donne, come i romanzi, resiste al tempo. Per amore di Louisa May Alcott ho letto anche i suoi sodali e maestri di pensiero: Emerson, Hawthorne, Thoreau. Per amor suo, spero tanto sia priva di fondamento la voce che vuole questo irritante film di Greta Gerwig in odore di Oscar.

fonte Huffington Post