In processione nell’Italia di tutti i santi

In sala per Luce-Cinecittà, “Lascia Stare i santi” il nuovo documentario di Gianfranco Pannone che firma con Ambrogio Sparagna un viaggio attraverso il sentimento religioso popolare, celebrato con cerimonie e processioni, immortalate nel magnifico repertorio del Luce. E con testi da Pasolini, Silone, Dolci, Gramsci. Da vedere…

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Non capita spesso di arrivare in sala e trovare così tanto pubblico che per non lasciarlo fuori si programma una proiezione aggiuntiva. È quanto accaduto all’Apollo 11 di Roma, piccolo sacrario del cinema documentario e d’autore della capitale, da dove ha preso il via il 30 gennaio il tour di Lascia stare i santi, la nuova fatica di Gianfranco Pannone che non è solo un film ma anche uno spettacolo musicale – dal vivo nella prima romana – firmato con Ambrogio Sparagna, eploratore di storie e canti popolari.

Lascia stare i santi è un viaggio, ipnotico e magnetico, attraverso l’inesauribile archivio del Luce di cui Pannone, documentarista di vaglia, è un grande conoscitore e sapiente interprete. E che stavolta “piega” alla narrazione – postmoderna – della cultura religiosa del nostro paese, percorrendolo da Sud a Nord, seguendo processioni, cerimonie e riti arcaici che nei secoli hanno saldato, in un unico credo, sacro e profano.

Quello stesso mondo che il cinema italiano del dopoguerra, intorno agli studi di Ernesto De Martino ha scandagliato dalla parte dei più deboli regalando numerosi capolavori al documentario etnografico, attraverso il lavoro di Michele Gandin, Gianfranco Mingozzi, Lino Del Fra, Cecilia Mangini e Luigi Di Gianni. Questi ultimi rimasti gli unici rappresentanti di quella combattiva generazione, a cui il film di Gianfranco Pannone sembra rendere implicito omaggio.

Eccole dunque le processioni che si inerpicano per strade di paesi e città, nel potente bianco e nero del passato o nel colore degli anni recenti (alcune firmate da Pannone). Madonne cariche d’oro o coperte solo di celeste, che muovono le mani come burattini, che svettano sui carri di trionfo, trascinati dagli uomini delle confraternite.

Ed ecco i cristi, quelli ascesi in cielo e quelli poveri piegati sulla terra. Mani di contadini, nodose come il legno, abiti rattoppati e facce scolpite, donne in nero, eterne vedove di una vita di miseria,  immagini magnifiche del repertorio più antico. E poi i santi. Domenico avvolto dai serpenti, santa Monica accompagnata dagli incappucciati, il busto d’oro di san Nicola, gli agioletti in carne ed ossa che penzolano intorno alla statua portata in gloria, o le tarantate – straordinario repertorio – che rotolano sul sagrato della chiesa. E dietro a piccoli passi o in corse forsennate la folla dei fedeli, rumorosi, inneggianti, scatenati, a tratti posseduti.

I “santi” di Pannone, invece, sono lì schierati attraverso i loro scritti (recitati da Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni). Rocco Scotellaro, Pier Paolo Pasolini, Tonino Guerra, Danilo Dolci, Alan Lomax, Vittorio De Seta, Ignazio Silone e Antonio Gramsci. A metterci in guardia, alla fine, ancora una volta, su tutto quello che abbiamo perso col passaggio alla civiltà industriale. Lascia stare i santi, sul filo della storia, ma pure dell’ironia, è insomma un tentativo di riportarci tra quelle lucciole di pasoliniana memoria, oggi completamente scomparse.