Quelli che imbiancano le case. Tornano quei bravi ragazzi di Scorsese e corrono per l’Oscar

Passato alla Festa di Roma in anteprima italiana, “The Irishman” l’atteso e osannato ultimo film di Martin Scorsese, basato sull’omonimo libro di Charles Brandt (Fazi Editore), incentrato sulla vera storia di Frank Sheeran, l’irlandese killer della mafia che uccise il leggendario sindacalista Jimmi Hoffa. Una narrazione potente, fatta di dialoghi e battute taglienti, di scatti d’ira e di violenza e di piccoli intermezzi «sentimentali», con una trama complessa su cui s’intrecciano superbe prove attoriali, con Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci ringiovaniti di trent’anni grazie a una sofisticata postproduzione digitale. Dal 27 novembre su Netflix …

«I Heard You Paint Houses» – come suona il titolo originale del libro di Charles Brandt (Fazi Editore) da cui Martin Scorsese ha tratto The Irishman – ovvero: «Mi dicono che imbianchi le case», macabra allusione alle pareti imbrattate del sangue delle teste sparate dalle esecuzioni mafiose.

È il biglietto da visita con cui l’irlandese Frank Sheeran, killer al soldo del boss mafioso Russell Bufalino d’origine catanese, si presenterà a Jimmy Hoffa, il potente capo sindacale dei Teamsters, gli autotrasportatori.

L’«amicizia» tra Sheeran e Hoffa è la spina dorsale della fluviale narrazione (210 minuti) del film di Scorsese visto alla Festa del Cinema, sceneggiato dal fido Steven Zaillian e prodotto da Netflix (che lo trasmetterà a partire dal 27 novembre, dopo una breve uscita in sala curata dalla Cineteca di Bologna).

 

Megaproduzione da 140 milioni di dollari che ha reso possibile la realizzazione, favorendo la reunion di alcuni mostri sacri: da Robert De Niro (Frank Sheeran) a Joe Pesci (Russell Bufalino), da Al Pacino (Jimmy Hoffa) a Bobby Cannavale e Harvey Keitel. Ed esibendo – grazie a una sofisticata postproduzione digitale – un viaggio nel tempo che ringiovanisce gli attori e li fa scorrazzare nei flashback.

Dunque, Frank Sheeran è un camionista che trasporta quarti di bue macellati e si mette nei guai facendo la «cresta» e rivendendoli. A salvarlo sarà il boss Russ Bufalino che lo manderà a «imbiancare» diverse case.

Sodalizio di ferro, quello che nasce tra Russ & Frank, rinsaldato dal rapporto con Jimmy Hoffa. Condivisione d’interessi e di crimini ma anche di affetti familiari, cene d’anniversari e cerimonie nuziali.

Almeno fino a quando le vicende che hanno segnato la vita del potente sindacalista (da finanziatore dell’ascesa di Robert Kennedy alla Presidenza Usa, al duro contrasto con l’allora Procuratore Generale Bob Kennedy, alle complicità e ai contrasti con le famiglie mafiose e i sindacati «concorrenti») non ne decreteranno la condanna a morte proprio da parte delle famiglie.

Hoffa, ufficialmente, scomparve il 30 luglio del 1975 e il suo corpo non venne mai trovato, ma The Irishman (libro e film) mostrano come le cose, invece, andarono a finire.

Tra storia pubblica – la disastrosa «riconquista» di Cuba, naufragata nella Baia dei Porci, l’assassinio di Kennedy a Dallas, il Watergate e altre poco commendevoli pagine della storia Usa – e vicende private, Martin Scorsese compone un mosaico che, in parte a causa della lunghezza e in parte per le frequenti alternanze temporali fa perdere qualche tessera.

Ma è comunque una narrazione potente, con una trama complessa su cui s’intrecciano – manco a dirlo – superbe prove attoriali (sublime quella di Al Pacino), fatta di dialoghi e battute taglienti, di scatti d’ira e di violenza e di piccoli intermezzi «sentimentali». Come la bella scena nella quale Russ e Frank, invecchiati e malandati, gustano un pane fragrante (alla maniera italiana) inzuppandolo nel succo d’uva (o vino?) – quasi una proustiana ricerca di tempi e sapori perduti – e rimembrano lo stesso gesto che suggellò il loro primo incontro.