Scene di lotta di classe nella cantina del padrone. La Palma d’oro 2019 arriva in sala

In sala dal 7 novembre (per Academy Two) “Parasite” del sud-coreano cinquantenne Bong Joon-ho, Palma d’oro a Cannes 2019. Nella Seul del film si vive a due strati: nel sottosuolo i diseredati, gli scarafaggi umani che campano a stento negli scantinati afflitti dalle deiezioni degli ubriachi, in alto le sontuose ville griffate dalle archistar, soldi a palate e servitù. Una metafora del pianeta Terra, terzo millennio. Una commedia nera (si ride molto, en passant) che chiude in tragedia paradossale. Da non perdere assolutamente …

La mia Palma del cuore va a uno scatenato noir sud-coreano imperniato su un conflitto di classe, anzi “il” conflitto di classe primario: quello tra i ricchissimi e i poverissimi. Il cinquantenne Bong Joon-ho è tutt’altro che un solito ignoto. Dopo i due film con cui è esploso (Memories of a Murder e The Host), ha diretto Snowpiercer, forse la sci-fi più adrenalinica degli ultimi anni, e Netflix se l’è accalappiato per Okja, un fantasy iperecologista, a Cannes due anni fa.

È uno dei più promettenti autori su piazza, e questo suo Parasite, piazzato in concorso sagacemente – a confronto ? – nel Tarantino’s Day, a molti ha ricordato i “brutti, sporchi e cattivi” di Ettore Scola, i poveri più radicali della commedia all’italiana.
Nella Seul del film si vive a due strati: nel sottosuolo i diseredati, gli scarafaggi umani che campano a stento negli scantinati afflitti dalle deiezioni degli ubriachi, in alto le sontuose ville griffate dalle archistar, soldi a palate e servitù. Una metafora del pianeta Terra, terzo millennio.

La connessione wi-fi oggi è più ossessionante del pane quotidiano: la famigliola cronicamente disoccupata di Parasite la pirata dai vicini. Finché si apre – per caso – uno spiraglio di accesso al mondo ”di sopra”. Il figlio povero – falsificando il titolo di studio – potrà dare lezioni di inglese alla ricchissima adolescente della famiglia Park. È fatta: con stratagemmi spietati e ingegnosi, padre, madre e figlia si collocheranno, via via, come autista, governante, insegnante di una presunta arte-terapia.

I francesi fanno notare che il faccia-a-faccia tra miserabili e facoltosi nello stesso spazio, ma delimitato da barriere invisibili, era la sostanza esplosiva di Jean Renoir in La règle du jeu. L’Asia di oggi è però, come tutto il pianeta, afflitta da disuguaglianze abissali, una polveriera.

Nella villa, l’archistar progettista – il primo inquilino – ha piazzato un bunker antiatomico sotterraneo (c’è l’arsenale nucleare della Corea del Nord!), ignoto ai proprietari. Quando i ricchi partono per un camping, e i diseredati possono scatenarsi in lusso e bagordi, gli eventi precipitano.

Non credo affatto che spoilerare danneggi la visione di un film. Ma Bong Joon-ho registra un mondo che ha rabbia e violenza a portata di mano, logica conseguenza di una proposta sociale di felicità che consiste nei beni che puoi consumare. L’inferno è tutto quello che ti viene negato, e scatena reazioni incontenibili.

Parasite è una commedia nera (si ride molto, en passant) che chiude in tragedia paradossale. Esattamente le due chiavi con cui puoi leggere la “forbice” micidiale – miseria assoluta, ricchezza assurda – del mondo in cui viviamo. Dettaglio-chiave: i poveri puzzano. Di povertà (anche chi viaggia in Metro, del resto, dicono i possidenti chic del film ). È una sintesi giustamente da Palma d’oro.

Fonte Huffington Post