“Ta’ ang”, la marcia dei profughi in fuga dalla guerra
Tra i momenti più alti della Berlinale 2016 la proiezione di “Ta’ang“ del cinese Wang Bing, presentato nella sezione Forum. Il documentario racconta l’odissea dei rifugiati di etnia Tang, in fuga dalla guerra in Birmania e impegnati a oltrepassare il confine con la Cina. Il regista li accompagna nel loro viaggio filmando ciò che vede in una pellicola fiume di 148 minuti…
Nella prima parte, Wang Bing ci fa entrare nel viaggio dei Tang mostrando i loro volti, inquadrando i bambini e i visi scavati degli anziani, fotografando il quotidiano di questa fuga senza mai enfatizzare: i rifugiati sono esseri umani, parlano del conflitto e di quello che si lasciano alle spalle, ma anche scherzano, cucinano, usano il cellulare.
Dopo lo squarcio preparatorio che favorisce la nostra mimesi, donne e uomini si mettono in marcia lungo il confine e noi, entrati nella loro condizione, assistiamo a momenti struggenti: dalla magnifica ripresa notturna, girata in piano sequenza con la luce di una candela che appare e scompare, il film trova il suo picco nell’ultima ora memorabile. Qui il cineasta cattura il sottofondo sonoro delle esplosioni del conflitto, che si fanno sempre più vicine mentre i bambini scherzano tra loro. La camera traballante segue il passo esausto dei profughi, la più anziana di loro trascina un peso che non può sostenere. La guerra ci sovrasterà o l’uomo riuscirà a fuggire? Su questo dubbio implicito e inquietante il pedinamento si ferma.
Wang Bing, dopo il capolavoro Til madness do us part girato all’interno di un manicomio, maneggia una materia meno “spettacolare”, dialoga con sforzo e paura e si conferma uno dei maggiori documentaristi viventi: nei volti e nei corpi di queste persone, nell’affermare la loro dignità mettendoli al centro della scena, il suo sguardo si fa sempre più scientifico, umanista, politico.
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