Un pugno nello stomaco per ricordare Cucchi. Il film che ha provato a fare giustizia

Fu omicidio preterintenzionale. Ora che finalmente sono stati condannati a 12 anni due carabinieri per il caso Cucchi, riproponiamo “Sulla mia pelle”, il film di Alessio Cremonini che ha aperto la sezione Orizzonti di Venezia 75, portato in sala da Lucky Red e nel listino Netflix. Gli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, il giovane geometra romano ammazzato di botte dopo l’arresto nell’ ottobre del 2009 e divenuto simbolo dei diritti negati e dei tanti – troppi – omicidi commessi nelle carceri, sotto la tutela dello Stato. Con uno straordinario Alessandro Borghi …

Film di apertura della sezione Orizzonti del festival di Venezia 75, Sulla mia pelle di Alessio Cremonini è un pugno nello stomaco che lascia senza fiato.

Merito soprattutto dell’agghiacciante ma straordinaria fotografia di Matteo Cocco e Michele D’Attanasio, nonché dell’interpretazione di Alessandro Borghi aderente al personaggio fino alla sofferenza fisica, il film (coprodotto da Cinemaundici e Lucky Red e distribuito nelle sale italiane dal prossimo 12 settembre in contemporanea su Netflix) ripercorre fedelmente le tappe della discesa agli inferi che portarono alla morte di Stefano Cucchi nell’ottobre 2009.

La vicenda – peraltro non ancora conclusa sul piano giudiziario – è ben nota all’opinione pubblica, anzi, è diventata una specie di manifesto di denuncia delle prepotenze perpetrate dalle forze dell’ordine e dell’indifferenza della magistratura e degli apparati carcerari e sanitari, alle quali si sovrappone l’irragionevolezza delle normative giuridiche e delle regole istituzionali.

Lo è diventata grazie soprattutto all’impegno civile della sorella di Stefano, Ilaria, la quale si è prodigata su tutti i fronti possibili per ricostruire la vicenda del fratello e inchiodare di fronte alla giustizia i responsabili della sua morte.

Il film non sceglie il registro, che peraltro sarebbe stato legittimo e forse premiante dal punto di vista cinematografico, del rapporto tra Stefano e la sorella. Sceglie piuttosto di portare lo spettatore quasi dentro il corpo martoriato e l’incubo senza fine di un ragazzo della periferia romana, ricco di un’umanità tragica, incompiuta e potenzialmente esplosiva che tu stesso, spettatore, vorresti strappargli dal fondo dell’anima.

I personaggi di contorno, dalla sorella interpretata da una non convincente Jasmine Trinca, ai genitori Milvia Marigliano e un inedito, dolente Max Tortora, fino ai carabinieri, ai medici, agli infermieri, restano così sullo sfondo, quasi impalpabili nella loro inutilità, frustrazione o disumanità.

L’unica eccezione, forse, è il giudice donna che commina a Stefano la condanna a un mese di detenzione preventiva che sarà l’anticamera della sua fine. Ecco, nella freddezza di quella donna giudice, che legge la condanna come se stesse snocciolando gli indirizzi della Pagine Gialle, c’è il senso profondo di una vicenda che deve continuare a farci riflettere in questi tempi di revival di giustizialismo e di giustizia fai da te.