Uno spettro si aggira per i cinema. Ritratto di Marx da giovane
Venerdì 22 giugno (ore 20.30) al cinema Farnese di Roma Luciana Castellina e Cecilia Mangini presentano “Karl Marx Giovane” di Raoul Peck, di nuovo in sala dal 25 giugno (nel circuito UCI Cinemas). Nel 200° anniversario dalla nascita e nel 170° anniversario della pubblicazione del “Manifesto”, il regista haitiano racconta gli anni giovanili del filosofo di Treviri. L’incontro con Engels a Parigi, fino alla vigilia delle barricate. Seguendo i primi passi di quel pensiero forte che dominerà il secolo breve e che, per molti versi, continua a segnare anche il terzo millennio …
Una citazione magari per provare a sancire il suo ruolo super partes. Che comunque mal gli si addice. Perché il lui di cui si parla è l’haitiano Raoul Peck, che tutti conoscono come autore del documentario su James Baldwin – I am not your Negro – candidato all’Oscar e vincitore del BFTA 2018. Dove il regista non si limita ad osservare, a filmare ma partecipa, “vive” l’esperienza dello scrittore militante afroamericano.
E la citazione di cui si parla all’inizio è quella che lo stesso Raoul Peck utilizza per presentare il suo ultimo film, Karl Marx Giovane: parole prese a prestito da Raymond Aron, il filosofo ultraconservatore francese, l’intellettuale rivale, amico-nemico di Jean-Paul Sartre.
E del filosofo liberale anticomunista cita un passaggio singolare: “Il marxismo possiede la peculiarità di essere spiegato in cinque minuti, cinque ore, cinque anni o mezzo secolo”.
Raoul Peck usa questa frase probabilmente per spiegare che lui, comunque, non ha questa pretesa. Il suo sguardo, il suo lavoro (co-sceneggiato assieme a Pascal Bonitzer, regista e sceneggiatore di Rivette e Téchiné) prende in esame una parte della vita di Marx, gli anni giovanili, fino all’immediata vigilia delle barricate a Parigi. Fino alla stesura, con Engels, del Manifesto (pubblicato a Londra il 21 febbraio del 1848).
Lo sappiamo, sono gli anni che cambieranno per sempre l’ordine delle cose, l’ordine del mondo. Sono anni di un traumatico passaggio. Sono gli anni di un enorme fervore filosofico, dopo i “sistemi di pensiero” provano a fare i conti con quel che accade.
Dove la speculazione prova ad interpretare – e con Marx a cambiare – quelle sperequazioni sociali che erano diventate drammatiche.
Tutto questo il film di Peck lo fa raccontando di un giovane tedesco (col volto di August Diehl) che lascia Treviri, poco più che un paesotto, assieme alla moglie Jenny, che ha rinunciato agli agi di una famiglia benestante, per rifugiarsi a Parigi, inseguito dalle polizie dei nascenti stati europei.
E qui, in quel vero e proprio universo cosmopolita della capitale francese, Marx incontra Engels (Stefan Konarske), figlio di un ricco imprenditore, che però ha voltato le spalle allo stile di vita familiare. E che sta studiando, per la prima volta con una certa sistematicità, le condizioni di vita degli operai delle fabbriche inglesi.
Da quest’incontro nascerà, appunto, quel pensiero forte che dominerà il secolo breve e che, per molti versi, continua a segnare anche il terzo millennio.
Il film è certo la storia delle enormi tribolazioni e avventure che i tre – ai quali poi si aggiungerà la moglie di Engels – hanno dovuto subire e attraversare in mezza Europa. Ed è un racconto che segue passo passo l’evolversi della loro filosofia. Illustrata attraverso i dialoghi fra i protagonisti o con la voce narrante, comunque nel modo più semplice possibile. Senza scendere mai nella banalità ma anche senza ricorrere ad astruse formule per addetti.
Così si passa dal racconto delle prime, improbabili e sfortunate organizzazioni operaie internazionali, dalla Lega dei giusti alla prima organizzazione comunista, così si passa dall’amicizia e dalla vicinanza con Proudon allo scontro politico- filosofico.
Il tutto con vaghi echi di quel che accade “fuori”. Fuori dalle case in cui vivono, fuori dai piccoli e fumosi circoli che frequentano. Nei quartieri operai di Londra o nelle prime periferie urbane tedesche. Lo sfondo del film, l’avvio insomma di quei moti, di quelle proteste operaie – che da lì a poco si trasformeranno in lotte – appare un po’ lontano.
È solo nei volti sporchi di fumo dei pochi operai che si incontrano, è negli stracci indossati dai bambini del vicolo. Lo sfondo, quei primi tentativi degli ultimi di alzare la testa sono però nei loro discorsi, nell’evolversi della filosofia marxista, che si fa “sistema compiuto” proprio analizzando quel che accade attorno a loro. È una scelta stilistica, che nulla toglie al racconto.
Così come nulla tolgono al racconto quegli accenni, quei puntini cinematografici qui e là, che provano ad aggiungere all’immagine tradizionale di Marx un tocco da visionario, da sognatore. Da idealista (che probabilmente sarebbe la peggiore delle offese per il filosofo di Treviri).
Nulla tolgono perché la forza del film è proprio nella sua semplicità. E anche – perché non dirlo? – nel suo rigore.
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