Addio Max von Sydow. L’attore che ha giocato a scacchi con la Morte

È scomparso l’8 marzo a 90 anni, Max von Sydow, grande interprete svedese, attore-feticcio di Ingmar Bergman, ma anche protagonista e caratterista incredibilmente versatile per oltre sessant’anni: dai film d’autore europei ai generi hollywoodiani più diversi, passando per un numero sterminato di adattamenti da opere letterarie, anche in Italia (Lattuada, Rosi, Zurlini), e personaggi entrati nell’immaginario collettivo (come il prete de L’esorcista). Un artista capace di passare dal Cristo de La più grande storia mai raccontata al killer de I tre giorni del Condor, sempre con la medesima abilità e professionalità…

 

In uno dei suoi ruoli più iconici, quello del crociato Antonius Block ne Il settimo sigillo (1957) di Ingmar Bergman (dal suo testo teatrale Pittura sul legno), Max von Sydow sfidava la Morte in un’allegorica partita a scacchi (c’era di mezzo, guarda caso, un’epidemia): «Ti stai beffando di me. Ma non mi fai paura. Ne sono certo: troverò il modo di batterti». E se la vera posta in gioco di una partita simile, inevitabilmente, è guadagnare tempo (magari per lasciare di sé qualcosa che sia ricordato), possiamo dire che l’attore svedese, scomparso l’8 marzo a novant’anni, ha giocato davvero bene (e sino in fondo).

Per quasi sette decadi, von Sydow (nato a Lund, Svezia, nel 1929) ha saputo spaziare tra generi e personaggi di ogni tipo, ritagliandosi più di un posto nella memoria cinematografica collettiva e riuscendo a incidere (anche) in molte parti da caratterista, con una versatilità che ha pochi eguali nella storia della settima arte.

Il sodalizio con Bergman dura fino ai primi anni Settanta, per undici film, tra cui Il volto (1958), Come in uno specchio (1961), L’ora del lupo (1968) e Passione (1969). Ma già dal 1965 la parabola dell’attore si proietta oltre i confini della sua terra (e del suo cinema) d’origine: proprio con un’altra “sfida” alla morte, la più nota della cultura occidentale, visto che parliamo di Gesù di Nazareth, impersonato da von Sydow ne La più grande storia mai raccontata (di George Stevens).

Sempre sul confine (ora luminoso ora oscuro) che separa il mondo materiale dagli interrogativi ultraterreni si muove un altro dei personaggi più celebri dell’attore, il sacerdote Lankester Merrin de L’esorcista (1973), cult horror di William Friedkin, dal romanzo di William Peter Blatty. Per questo ruolo, che von Sydow riprenderà nel sequel (1977) di John Boorman, l’attore è candidato al Golden Globe (lo era già stato per un altro ruolo da religioso, quello del reverendo di Hawaii, 1966).

A proposito di romanzi, la filmografia dell’attore vanta una percentuale ragguardevole (per quantità e qualità) di adattamenti da opere letterarie, comprese produzioni dirette da grandi autori del cinema italiano: film come Cuore di cane di Alberto Lattuada, Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi (dal giallo satirico Il contesto di Leonardo Sciascia), Il deserto dei Tartari di Valerio Zurlini e miniserie tv come A che punto è la notte? di Nanni Loy.

Sono trasposizioni dalla letteratura anche molti successi del cinema statunitense che von Sydow impreziosisce col suo carisma, tra cui Minority Report (2002) di Steven Spielberg (dal racconto di Philip K. Dick), Shutter Island (2009) di Martin Scorsese (dal romanzo di Dennis Lehane) e Molto forte, incredibilmente vicino (2011) di Stephen Daldry. Per quest’ultimo (dal romanzo di Jonathan Safran Foer) l’attore ottiene la sua seconda nomination agli Oscar, dopo quella, nel 1989, per Pelle alla conquista del mondo (1987) di Bille August (dal primo volume del romanzo omonimo di Martin Andersen Nexø).

Diversi anche i ruoli ispirati ai fumetti, come quello dell’imperatore Ming di Flash Gordon (1980, di Mike Hodges) e del Re Osric in Conan il barbaro (1982, di John Milius), muovendosi sempre con impeccabile professionalità dall’intrattenimento pop (di recente anche Star Wars Il trono di spade) al cinema d’autore (Hannah e le sue sorelle, di Woody Allen, Fino alla fine del mondo, di Wim Wenders).

A prova (massimamente) emblematica del suo eclettismo si dovrebbe citare però lo spy-thriller (politico) I tre giorni del Condor (1975) di Sidney Pollack (dal romanzo I sei giorni del Condor di James Grady), dove l’attore interpreta il memorabile killer su commissione Joubert, gelido seminatore di morte ma non meno convincente di quei protagonisti che la morte l’avevano affrontata (e vinta).

In un momento (già) così triste e difficile per l’arte e la cultura, vale allora (tanto più) la pena riscoprire i film e ruoli di questo interprete: partendo proprio dal cavaliere-scacchista Antonius Block che, al senso di morte del Medioevo invaso dalla peste, sottraeva un poetico monologo di elogio alla vita:

«Lo ricorderò, questo momento. Il silenzio del crepuscolo, il profumo delle fragole, la ciotola del latte, i vostri volti su cui discende la sera […]. Porterò con me questo ricordo, delicatamente, come se fosse una coppa di latte appena munto che non si vuol versare. E sarà per me un conforto. Qualcosa in cui credere».