Addio Balestrini, il poeta dell’allegria che non demorde
È scomparso il 20 maggio a 83 anni, Nanni Balestrini, poeta, scrittore, intellettuale militante e grande sperimentatore. Dal Gruppo ’63 a quel “Vogliamo tutto”, del ’71, che ha cambiato le vite di tanti ragazzi e ragazze all’epoca. Nei suoi testi storie di fabbrica, sfruttamento, lotta armata, tifoserie. Storie di rabbia ma sempre accompagnata alla gioia… Al cinema ha collaborato con Pasquale Squitieri per “Gli invisibili”, dal suo omonimo romanzo e alla sceneggiatura di “Atto di dolore”. Con Dario Argento ha scritto il suo film più anomalo: “Le cinque giornate” con Adriano Celentano …

La gioia. La rabbia ma sempre accompagnata alla gioia. “La gioia di essere finalmente forti. Di scoprire che ste esigenze che avevano sta lotta che facevano erano le esigenze di tutti erano la lotta di tutti”. Rigorosamente senza virgole. La rabbia. La gioia. “Vedevamo i gruppi ultras brasiliani che ballano la samba tutta la partita ma soprattutto il fatto che la violenza è bella perché ce l’abbiamo nel sangue”.
Nanni Balestrini se n’è andato. E ha lasciato un pezzo di sè a tanti. Magari non a tutti ma a tanti. Sì, ha attraversato i due secoli. Anticipandoli. La sua biografia è ovunque in queste ore. A meno di 30 anni era già nell’antologia I Novissimi (e con lui Sanguineti) e poi la nascita de Il Gruppo 63 (e con lui Umberto Eco), deciso a stravolgere i canoni di una prosa che a quel gruppo di intellettuali in erba sembrava troppo tradizionale.
Poi il ’68, l’impegno militante. Sempre accompagnato dalla sperimentazione. Nel linguaggio e nei temi. La ricerca. Ovunque, su qualsiasi campo. Nelle arti visive, nella poesia, nella danza. Nel cinema. Gli Invisibili di Squitieri (sulla stagione della lotta armata), col quale ha sceneggiato anche Atto di dolore (sul tunnel dell’eroina), o Le cinque giornate di Dario Argento con Adriano Celentano (sui moti del 1848 a Milano).
Le tappe della sua vita sono ovunque in queste ore, si diceva. Anche se molte nascondono che alla fine degli anni settanta fu accusato nientemeno che di associazione sovversiva. E fu costretto a rifugiarsi in Francia, dove ancora esisteva la “dottrina Mitterrand”, che offriva protezione ai perseguitati politici. Da dove tornò solo nell’84, quando fu completamente assolto.
Questa parte della sua biografia oggi viene raccontata con toni bassi dai media mainstream. Esattamente come, quand’era in vita, molti dicevano di apprezzare i suoi lavori. Ma non tutti.
A cominciare da quel Vogliamo Tutto, del ’71. Che ha cambiato le vite di tanti ragazzi e ragazze all’epoca. Per quel che raccontava, certo: la storia di un proletario migrante dal Sud al Nord che si trova a fare i conti con la grande fabbrica. Con lo sfruttamento. E sceglie di combatterlo (la prima frase fra virgolette è tratta proprio da Vogliamo Tutto). Ma anche per come lo raccontava: con un romanzo che resta lontanissimo dai noiosi pamphlet politici dell’epoca, tutti “linea” e certezze.
Raccontato in prima persona, con una strana punteggiatura, con tante, tantissime espressioni dialettali. Che entreranno subito nei modi di dire di una generazione. Con un metodo che forse anticipava e accompagna quel “partire da sé” che da lì a poco sarebbe stata la cifra del movimento femminista.
Ma non è stato un libro facile neanche per la sinistra, per la cultura maggioritaria in quel periodo a sinistra. “Ce lo dicono i sindacalisti in fabbrica… ma c’è un’altra cosa. È che a noi non ce ne frega niente di quel che dicono perché finché non cambia tutto siamo sempre noi a stare peggio”.
Cercava, raccontava. Sperimentava. Tutto su tutto.
Ed è così che dieci anni dopo il suo rientro in Italia arrivano I Furiosi. Un libro dove Balestrini semplicemente segue per lungo tempo gli ultras rossoneri del Milan. I loro riti, il loro linguaggio, la loro musica. Le loro parole. Ed anche – senza enfasi né condanna – la loro violenza, che faceva parte delle loro vite.
E forse anche questo è stato il primo tentativo di capire cos’è quel mondo delle curve, del quale tutti parlavano – e parlano – senza averne la minima idea (da I Furiosi è tratta la seconda frase di queste note). Ha raccontato come in un mondo tagliato con l’accetta, non per scelta ma perché così se l’erano trovato, centinaia di ragazzi trovassero la gioia nei loro simboli, nel loro stile di vita.
Gioia. E si ritorna al punto di partenza. Rabbia e gioia. Ma Balestrini, le centomila cose che ha fatto, sono gioia? Sono allegria? È la domanda che si è posto anche Bifo, quando all’inizio di quest’anno è stata inaugurata a Bologna (e chiusa appena un mese fa) una mostra su Balestrini a Bologna. “È allegro quando danza con la signorina Richmond è allegro quando è triste e dice: siamo come dei personaggi di Stendhal. Anche Stendhal era allegro, come! Non lo ricordi? Balestrini è l’allegria che non demorde”. Gli altri si erano arresi da tempo.
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