Alla pugna! Brancaleone festeggia i 50 anni

Era il 7 aprile 1966 quando nelle sale italiane uscì il capolavoro di Mario Monicelli. Oggi, a distanza di mezzo secolo, si festeggia con la pubblicazione della preziosa sceneggiatura in un volume curato da Fabrizio Franceschini…

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L’occasione è ghiotta: “alla pugna!”, direbbe Brancaleone da Norcia. Si celebra il mezzo secolo (!) di uno dei film più divertenti e duraturi del nostro cinema, e lo si fa in questo caso pubblicandone la sceneggiatura integrale, con le sue varie stesure, e rimaneggiamenti, e cambiamenti d’idee, ed anche un appropriato corredo storico filologico.

Troviamo il tutto in L’Armata Brancaleone. La sceneggiatura, a cura di Fabrizio Franceschini, per le Edizioni Erasmo di Livorno.
Il glorioso copione, oggetto del saggio, che ci fece scoprire questo “strano”, cialtronesco, fantastico Medioevo, porta le firme illustri di quei mostri sacri che rispondono della “ditta”  “Age, Scarpelli, Monicelli”. Nomi e garanzie.

Entriamo nel volume, come già nel bel mezzo di un dibattito (dopo la gustosa introduzione in salsa toscana di Franco Carlini, sul nostro “medieval evergreen”) ed eccoci ad uno dei punti “cruciali”: il linguaggio (celebre e di successo) usato dagli autori fu inventato del tutto, oppure siamo di fronte ad un sapiente mix operato dai nostri tre estensori?

Si opta,  argomentando, per la seconda ipotesi, mostrando come gli sceneggiatori, peraltro assai d’abitudine, specie per i più bravi, abbiano rovistato biblioteche e saccheggiato citazioni e spunti dalla nostra letteratura, dal “Morgante” in poi, verso l’ “alto” e verso il “basso”, per poi “regionalizzare” e caratterizzare a dovere i personaggi. 33912-l-armata-brancaleone-la-sceneggiatura

Ma il ragionamento sul linguaggio è appunto solo una delle tante tracce che, nell’analizzare lo scritto, il volume segue, spingendosi ad investigare sulla stratificazione delle varie stesure ed ancora proprio sulla genesi dell’ Armata, sulle sue ispirazioni letterarie e cinematografiche, e tra queste ultime individuare, non meravigli troppo,  – anche- quel citatissimo La sfida del samurai (1961) di Kurosawa, con protagonisti dei ronin, samurai senza padroni, guerrieri sì, ma anche un poco straccioni.

Tirata in ballo oramai nel linguaggio d’oggi per indicare un’accozzaglia di improbabili ed incapaci personaggi, l’Armata “non proprio invincibile” ha un suo condottiero, anzi un suo “duce”, nelle cui mancanze si rispecchia appieno e che la fa addirittura inorgoglire delle stesse. Ma chi è questo eroe dai vestiti di pezza, con tanto cuore ed altrettanta evidente povertà?

“Brancaleone è un Don Chisciotte italico, senza paura e senza armatura, protagonista di grandi gesta, ma non soltanto personali, in quanto paladino degli ultimi, senza calzari e senza denari, destinati a restare ultimi”, ci rivela Giacomo Scarpelli, in un bel pezzo presente nel volume nel quale svela il privilegio di essere figlio di uno degli sceneggiatori, testimone diretto di sedute e sedute di scrittura (“Il bambino che vide passare Brancaleone a cavallo”).

Memorabili sono le battute, restate nella storia del costume, che si possono “ri-gustare” leggendo la sceneggiatura: “Transitate lo cavalcone in fila longobarda”. “Bono rimedio?”. “Poco tengo, poco dongo”. “Brancaleone da Norcia non fece mai a mezzo con nessuno!”. O l’esilarante dialogo tra Teofilatto e Brancaleone (Volonté-Gassman): “Cedete lo passo” / “Cedete lo passo tu!” / “No, è a te cedere, io son cavaliere…” / “Et io che sono? Le hai viste le schiere mie? O non hai occhi?”. E tante altre.

Come ci informa puntualmente il volume, l’Armata si forma sul tratto viterbese della Strada Romana, coincidente con la via Francigena, ove Taccone, Pecoro e Mangoldo incontrano Abacuc ed infine Brancaleone. Di lì, la strada che devono percorrere agli ordini di Brancaleone da Norcia è tanta, e ricca di avventure, di “perigli”, per arrivare nell’immaginaria Aurocastro nelle Puglie.

Finito, per coerenza o conseguenza, nell’ondata “pacifista” che tenta di prendere parte come può tra le coscienze spaventate dei cittadini/spettatori, in un clima che passa in fretta dalla guerra fredda all’intervento americano in Vietnam, L’Armata Brancaleone segue, in maniera solo fintamente raffazzonata, il tracciato antimilitarista del Dottor Stranamore di Kubrick, o de La grande guerra (sempre opera della “ditta” Monicelli, Age, Scarpelli, con l’aggiunta di Luciano Vincenzoni): mentre gli eserciti nelle varie zone calde del mondo sono in “grandi manovre” permanenti, in “Brancaleone”, nel cuore di questa Italia medievale inventata, gli eserciti sono drappelli di disperati, ed anche i cavalieri si stancano di duellare, hanno bisogno di riposarsi anche loro; non c’è aria di Disfida di Barletta, piuttosto solo l’idea di pararsi dai tanti guai incombenti (la peste, tra l’altro) e di arrivare ad Aurocastro dove sarà pace e godimento per tutti. Insomma, Aurocastro dista un bel po’ da Barletta!

Brancaleone: “Farò di voi quattro un’armata veloce et ardita, che sia veltro e lione al tempo istesso! Aurocastro ci aspetta nel cuore delle Puglie, Aurocastro la grassa, Aurocastro gran madre pasciuta. In marcia, miei gagliardi! Seguitemi”. E così l’armata goliardica, può divenire, col suo celebre inno, da cantare per ridere d’ogni cosa, un enorme invito alla leggerezza contro il clangore delle armi che in fondo, in fondo si ode sempre. Più o meno vicino.