C’è un Ufo sui cieli di Cannes: la Giovanna D’Arco bambina di Dumont

Passato alla Quinzaine des réalisateurs, “Jeannette”, il nuovo film di Bruno Dumont è diventato il caso di Cannes 70. Un’opera elettro-rock su “libretto” del poeta francese Charles Péguy (“Il mistero della carità di Giovanna D’Arco”), sorta di Carducci francese di fine Ottocento. Risultato: un oggetto non identificato tra Straub-Huillet e i Monty Python, dall’ironia irresistibile, anche se difficile da esportare …

Bruno Dumont colpisce ancora. Dopo aver sfidato il concorso, lo scorso anno, con la (geniale) lotta di classe dei marinai cannibali di Calais che mangiano i borghesi (Ma Loute), stavolta l’autore francese prende d’assalto la Quinzaine de réalisateur con una Giovanna D’Arco bambina che canta e balla, recitando i ridondanti versi di Charles Péguy (1873 – 1914). Sorta di Carducci francese (quello delle Odi barbare, piuttosto), passato dai furori socialisti a quelli di un cristianesimo sociale, molto libero e senza dogmi.

Il pubblico in sala, numerosissimo, ha gli occhi spalancati, sorride a tratti, ride di cuore, qualcuno esce, ma poi arriva l’applauso finale, liberatorio e fragoroso. Perché col cinema di Dumont è sempre così: l’impatto è spiazzante, poi ci si abbandona, si capta la frequenza e via.

E stavolta “la frequenza” è quella della musica elettronica (si firma IGORRR il compositore) scelta dal regista di Twentynine Palms proprio per “tradurre il delirio mistico di Giovanna D’Arco” che qui vediamo appena bambina, prima della scelta di partire per la guerra e diventare la Pulzella d’Orlèans dei libri storia.

Utilizzado il testo di Péguy (Il mistero della carità di Giovanna D’Arco) come un libretto d’opera, Bruno Dumont crea un vero e proprio Ufo che definire musical davvero non rende l’idea.

L’impianto è praticamente francescano. Siamo su una spiaggia nel 1425, popolata soltanto da qualche pecora, ciuffi d’erba e arbusti. Qui Giovanna bambina chiacchiera e canticchia con la sua amica Hauviette. Dialoghi fedelissimi agli enfatici versi di Péguy, in cui si discetta del dolore del mondo, dell’impotenza dell’uomo, del destino della Francia afflitta dagli inglesi nella guerra dei Cent’anni.

Ascoltare certi dialoghi dalle voci di due ragazzine di dieci anni è già la prima sorpresa del film: fa ridere!!!! L’ironia, infatti, scaturisce come in corto circuito, a cui si aggiungono mistiche visioni di santi, elettriche danze e canti verso l’altissimo, col contrappunto di qualche belato.

Da Straub-Huillet ai Monty Python, da Jacques Demy ai talent show, Jeannette è un po’ tutto e il contrario di tutto. Proprio come la stessa Giovanna bambina che invoca la pace e parte per la guerra, che si muove tra il desiderio di fare del bene e l’estrema violenza, insomma tra il terreste e il celeste. Che poi a guardar bene sono gli estremi in cui si muove la religione. Di cui la storia è piena di esempi, ma anche il nostro presente avvelenato dagli integralismi.

Questo, per sua ammissione, premeva raccontare a Bruno Dumont, non credente praticante ed esploratore di linguaggi che, col suo Jeannette – già diventato il caso di Cannes 70 – si conferma nuovamente autore iconoclasta capace, tra i pochi, di mostrare strade per il cinema a venire.