Con Citto Maselli a lezione di ‘900: “Cronache del terzo millennio”…
Quarto appuntamento di una serie di incontri col grande autore, per condividere i suoi film e la nostra storia. In tempi di memoria corta come i nostri vi proponiamo questo cammino a ritroso per guardare meglio al presente. È la volta di “Cronache del terzo millennio” del 1994, profetica visione sugli effetti devastanti di quella che oggi chiamiamo globalizzazione…
“Stefano Rodotà lo definì “i racconti morali di Voltaire”. Furio Colombo “più esplicativo di tanti testi di economia”. Al festival de L’Havana, invece, lo fischiarono alla prima scena: era per le ascelle non depilate di una delle attrici, inammissibile per i costumi cubani!”. Eccolo Citto Maselli, riprendere il filo del Novecento attraverso i suoi film.
Dopo Codice privato, Il segreto e L’alba, la cosiddetta trilogia femminile (“l’hanno definita così ma io neanche ci pensavo”) è il momento di Cronache del terzo millennio, ancora una riflessione d’autore apertamente politica sul contemporaneo.
Siamo nel 1994, dietro alle spalle il terremoto di Tangentopoli e davanti le politiche che avrebbero portato al primo round dell’impero Berlusconi. Citto Maselli si candida per Rifondazione, scegliendo l’impegno diretto. È un momento di fortissime contrapposizioni. E all’indomani del voto il “risveglio” è scioccante.
Cronache del terzo millennio è un po’ la risposta a tutto questo. O meglio, come spesso accade nel ciema di Maselli, è una profetica visione di un inquietante futuro, a partire da un passato recente di storici mutamenti: “la fine dell’Urss – ci dice – lo scioglimento del Pci, la fine della grande industria, della classe operaia, della rappresentanza del lavoro”.
Sono gli anni, infatti, in cui il nuovo “spettro che si aggira”, non solo per l’Europa, è diventato il mercato. “Il pensiero unico che coincide con la logica perfetta del Fondo monetario internazionale”, seguito dalle sue parole d’ordine: “flessibilità, compatibilità, internazionalizzazione”, spiega Citto in un’intervista di allora (su Cronache del terzo millennio, Collana cinema, Provincia di Mantova-Casa del Mantegna a cura di Salvatore Gelsi), prefigurando gli effetti devastanti di quella che oggi chiamiamo globalizzazione.
“Diventerà naturale – spiega – che gli insediamenti produttvi si spostino di volta in volta nei luoghi del pianeta dove più atroce sarà lo sfruttamento e dunque più bassi i costi; dove dalla manodopera infantile agli omicidi bianchi di massa ci ritroveremo due millenni indietro; dove popolazioni intere di un Sud sempre più esteso si sposteranno abbandonando le loro culture”… L’Italia aveva appena conosciuto il primo grande esodo dall’Albania e si confrontava, incredula, col dramma dei migranti.
Come raccontare tutto questo? Citto Maselli sceglie la chiave della metafora: un gigantesco palazzo di periferia alla Sironi (ricostruito a Cinecittà da Marco Dentici), una sorta di castello kafkiano, un formicaio oscuro dove brulica un’umanità reietta, messa di fronte alla scelta della sopravvivenza. L’edificio è destinato alla demolizione e i suoi abitanti sono sotto sfratto. Ma ecco che grazie ad una mobilitazione, il coinvolgimento dei media e le proteste si apre uno spiraglio, una possibilità: le ruspe del comune resteranno ferme e gli “abusivi” potranno restare.
Ed è qui, però, che comincia l’inferno. Gli abitanti del caseggiato, una volta scampato il pericolo, “si organizzano secondo le logiche del mercato ed instaurano il peggior capitalismo – prosegue Maselli – , la lotta fra poveri, lo sfruttamento dello sfruttato, dei cinesi, dei peruviani, creando una società atroce e barbarica”, che le raffinate inquadrature e i potenti movimenti di macchina, attraverso gli oscuri volumi dell’edificio, fanno sprofondare in un nero magma di corpi michelangioleschi senza più identità.
“Loro sono felici di prendere in mano il palazzo – prosegue Citto – di poterlo gestire, farlo fruttare e insieme riscattarsi agli occhi del mondo. Ma senza quella cosa che si chiamava progetto e che era comunque progetto di cambiamento, diventano loro stessi sfruttatori e produttori di nuove e tremende povertà”.
Sul finale, però, che porta la macchina da presa a scendere in basso, sempre più in basso fino alle fondamenta del caseggiato, quasi nelle viscere della terra, scopriamo dei giovani, di tante etnie diverse, che hanno ripreso in mano i libri ed hanno ricominciato a leggerli. “Tra quei libri, noi lo sappiamo, c’è la storia del movimento operaio – scrive Fausto Bertinotti nello stesso testo -. Lì nel sottosuolo, nella grande periferia, donne e uomini di lingue diverse, di corpi diversi, di colori diversi, incontrano qualcosa che si potrebbe chiamare lo spirito di Gramsci… Citto Maselli ci ha narrato una tragedia e ci ha detto di una speranza”.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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