Con Citto Maselli a lezione di ‘900: “Storia d’amore”…
Terzo appuntamento di una serie di incontri col grande autore, per condividere i suoi film e la nostra storia. In tempi di memoria corta come i nostri vi proponiamo questo cammino a ritroso per guardare meglio al presente. È la volta di “Storia d’amore”, un “Jules et Jim” proletario, politico, esistenziale sulla condizione femminile oltre il femminismo…
“È il tuo film più politico mi dice Romano Ledda, entusiasta al termine della proiezione”. A distanza di trent’anni, e sì era il 1986, Citto Maselli ancora si emoziona ricordando il giudizio a caldo del direttore di Rinascita e noto dirigente del Pci, su Storia d’amore.
Tornare al cinema dopo circa 11 anni di “silenzio” (interrotto però dai televisivi Tre operai dall’omonimo romanzo di Carlo Bernari e Avventura di un fotografo da Italo Calvino) non era cosa leggera. Soprattutto per un autore come Citto Maselli che al cinema ha sempre legato l’impegno politico, quindi culturale che, infatti, in quegli anni (dal 1975, anno de Il sospetto, al 1986 anno di Storia d’amore) ha proseguito all’interno dell’Anac (la storica Associazione degli autori cinematografici italiani) e sostenendo la creazione della Fera, la Federazione dei registi europei, ancora oggi attiva nel sostegno al cinema d’autore in Europa. Ma anche, come sempre, nel racconto delle tensioni sociali del presente, come testimonia Sabatoventiquattromarzo, il film collettivo del 1984 – anno della morte di Berlinguer – , sull’oceanica manifestazione contro il governo Craxi che aveva appena tagliato (di 4 punti) la scala mobile. E contro cui il Pci e la Cgil, l’anno successivo, incasseranno una dolorosa sconfitta con la perdita del referendum abrogativo.
Anzi, è proprio in quell’occasione che Citto Maselli matura l’idea di Storia d’amore. “Attraverso le tante interviste ai giovani lavoratori proletari e sottoproletari delle periferie romane fatte per il documentario – racconta – sono venuto in contatto con un universo pieno di coraggio, intelligenza e vitalità. Giovani che nonostante tutto, erano gli anni del flagello dell’eroina, per esempio, nonostante condizioni lavorative drammatiche, non si drogavano, né rubavano, né si prostituivano ma tentavano comunque la costruzione di un futuro”.
Invece il cinema, fin lì, aveva racccontato altro. “La periferia, per tutti – prosegue Maselli – era quella di Accattone e dei tanti film “pasoliniani”. Una strada, a dire il vero, aperta molti anni prima da Morte di un amico di Franco Rossi, nel ’59, film che tutti ignorano. La mia idea, in sostanza, era quella di mostrare l’altra faccia della realtà di borgata, quella migliore”.
E lo spunto per la storia, ancora non “d’amore” ma di “periferia” – come recitava il titolo provvisorio – viene a Maselli dai racconti di Stefania Brai, la sua compagna di vita, allora impegnata nella “sezione informazione” della “stampa e propaganda” del Pci, oggi responsabile cultura di Rifondazione. “Era lei – ricorda Citto – che mi raccontava della vita durissima che facevano le donne, compagne comuniste, di una coopertiva di pulizie che lavorava a Botteghe Oscure. Si svegliavano tutte le notti, a buio fondo per arrivare al lavoro alle prime ore dell’alba, prendendo autobus su autubus per raggiungere il centro di Roma dalle periferie dove abitavano. Donne forti, intelligenti, piene di dignità”.
La protagonista, dunque, sarebbe stata una ragazza. Una Valeria Golino, appena diciasettenne, che a questo film dovrà la sua “scoperta” e la sua futura carriera d’attrice, consacrata da una coppa Volpi a Venezia (“Feci un grande lavoro con lei, era giovanissima e ancora alle prime armi”). A conferma di un cinema, quello di Maselli, in cui la figura femminile è sempre stata centrale, fin dagli esordi con Storia di Caterina (1953), passando per la giovanissima Lucia Bosè de Gli sbandati, Claudia Cardinale ne I delfini e Gli indifferenti, e dopo, a seguire l’Ornella Muti, per la prima volta alle prese col cinema d’autore, in Codice Privato e ancora, la Nastassja Kinski de L’alba e de Il segreto.
Ritratti di donne, dunque, colte nel loro cammino esistenziale di potente vitalità, insofferenza e mistero tra cui Bruna, di Storia d’amore, spicca per forza e attualità, ancora oggi. Una ragazza di borgata, giovanissima, che si sveglia ogni notte alle 3 per andare a fare le pulizie in un palazzo del centro. Che si occupa anche della casa e della famiglia, due fratelli piccoli e un padre vedovo (Luigi Diberti), militante comunista, di cui con orgoglio, Bruna, rivendica l’essere operaio.
E che non si fa “schiacciare” da tutto questo, ma anzi con passionale vitalità, si batte per costruirsi una vita, una sua felicità attraverso l’amore, prima per Sergio (Blas Roca-Rey), facchino ai mercati generali e poi per il giovanissimo Mario (Livio Panieri), emigrato dal Sud e barista, in un rapporto alla Jules et Jim proletario. Ma che terminerà, drammaticamente, con la consapevolezza di un senso di esclusione “antico” da quel mondo maschile che lei stessa ha creato e “cresciuto”, che la spingerà piuttosto a rinunciare alla vita. Finale osteggiato dalla Rai fino all’ultimo, ma che Citto è riuscito a imporre senza esitazioni, regalando al film uno dei momenti di più alta e sconvolgente bellezza.
“È come se improvvisamente – continua Maselli – Bruna si fosse accorta del suo totale isolamento rispetto ai due ragazzi, ormai complici e avviati nelle loro vite che lei ha spinto loro a costruirsi, a migliorare, quasi come una madre. Si ritrova, insomma, in questa sorta di sottomissione antica, o “accessorietà” della donna rispetto al maschile che, nonostante il femminismo, ha sedimentazioni ben più profonde e che vanno ben al di là dell’educazione”. E che nel film, dai magnifici tagli di luce e incredibile intensità poetica, sottolinea ancora una volta la musica di Giovanna Marini.
Il film in concorso a Venezia 43, con Alain Robbe-Grillet presidente di Giuria “schieratissimo” con Maselli e un giovane Nanni Moretti giurato “contro”, fu accolto da critiche entusiastiche e vinse il Gran premio speciale della giuria (il Leone d’oro andò a Il raggio verde di Eric Rhomer), oltre che il premio per l’interpretazione di Valeria Golino, “una donna del popolo – scrive Kezich su Repubblica, esaltando Storia d’amore – che discende, nella galleria del cinema italiano, dalla figura classica della Magnani e ne offre un aggiornamento tanto significativo” da meritarsi il premio, che infatti, arrivò.
“Ero così in tensione per questo mio ritorno al cinema – prosegue nei ricordi Maselli – che la sera della proiezione, insieme a Stefania, aspettammo l’alba per leggere la recensione de l’Unità. Ebbene, cercando subito nelle pagini culturali, non trovammo nulla e ci prese un colpo: la recensione di Sauro Borelli era in prima pagina”. E diceva così: “Storia d’amore è, senza alcun dubbio, la prova compiuta, felicemente matura di un cineasta dalle ancora folte, preziose risorse creative e stilistiche”.
Insomma, un trionfo che proseguì nell’applauso collettivo dei tanti compagni e dirigenti del Pci che accompagnarono il film al festival (“Allora allogiavano ancora nelle pensioncine di Venezia, non come Veltroni che inaugurò la stagione dell’Excelsior!”), insieme a una marea di telegrammi di congratulazioni e di un grande successo di pubblico in sala.
Kezich: quel documentarismo degli anni 50 che ancora gli fa raccontare paesaggi e volti con tagli e luci da grande fotografo…. riferimento a Il tetto
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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