Da Piombino al Vietnam. Il ’68 di provincia delle Stars comincia il tour

Venerdì 30 novembre al cinema Farnese di Roma (ore 20.30) “Arrivederci Saigon”, entusiasmante documentario di Wilma Labate accolto dagli applausi della Mostra. L’incredibile storia delle Stars, band di 5 ragazze toscane che finiscono per errore in Vietnam a suonare per le truppe americane. E al ritorno a casa, nella provincia del Pci e delle case del popolo, devono anche subire il processo politico. Mentre il repertorio, magnifico, nello sguardo raffinato di Wilma Labate indaga il ’68 tra cinema, società e politica. Da non perdere…

 

Sbagliare è un’arte; tante delle cose migliori di questo mondo sono nate da un errore, un calcolo sbagliato.

Succede anche in Arrivederci Saigon, il documentario di Wilma Labate a Venezia nella sezione Sconfini, e se c’è da tirare fuori una morale dalla storia delle Stars, band di cinque ragazzine toscane, di Piombino, finite per errore in Vietnam nel 1968, è che la vita va sempre affrontata con curiosità, e lo slancio è sempre preferibile al contenersi.

Che poi è quello che ha fatto Daniela Minervini, la tastierista del gruppo, quando Rossella, la cantante, e le altre hanno bussato alla sua porta per proporle di unirsi al gruppo. “Ho sempre avuto il dubbio”, dice in una scena del film, “che in realtà cercassero un’altra Daniela, la figlia della nostra vicina di casa, che sapeva già suonare le tastiere”. Lei era bravina con la fisarmonica, nulla di più, ma quell’occasione, errore o non errore, l’ha colta senza esitare.

L’equivoco è un po’ il fil rouge di questa storia, che non saremmo qui a raccontare se un giorno le Stars (Rossella, Daniela, Viviana, Franca e Manuela), con il repertorio soul e beat, le iconcine di Aretha Franklin e James Brown nel cuore e la voglia di evadere dal tedio della provincia, non avessero incautamente firmato un contratto scritto in inglese.

Pensavano fosse l’ingaggio per un tour in Estremo Oriente – così aveva raccontato loro il manager Ivo Saggini, personaggio che da solo meriterebbe forse un altro docufilm – ma quando sono atterrate a Manila nelle Filippine hanno scoperto che la vera meta finale era Saigon, il tour in realtà era per intrattenere le truppe americane, battaglioni di soldati che avevano più o meno la loro stessa età. Troppo lontano, troppo tardi per girare i tacchi.

È suggestivo il modo in cui – prime sequenze del film – le mattinate lattiginose nella campagna intorno a Piombino non siano così lontane dal paesaggio umido di risaia del Vietnam. Come il racconto delle ex ragazze scorra naturale sulle immagini dei cortei del ’68, vecchi super8 in bianco e nero con Jean-Luc Godard che riprende nelle strade, filmini vintage di Patty Pravo, gli album di famiglia con le foto delle vacanze: un’ amalgama che tiene insieme tante cose, la provincia italiana di quegli anni, la guerra, la sconsideratezza di quando si è ancora troppo giovani, il cinema che fotografa e reimmagina il suo tempo.

Erano quasi tutte minorenni, le cinque Stars, quando sono finite a migliaia di chilometri da casa, spedite da un accampamento all’altro, ore e ore di jeep, caldo insopportabile, pasti quando capita, show di mezz’ora su palchi sotto tendoni a cantare per soldati più stanchi di loro, “ma mai per il club ufficiali, perché non volevano che facessimo la musica dei neri“, e in finale loro stavano con i soldati e non con i colonnelli, in questo avevano fatto la loro scelta di campo.

Non erano politicizzate, sono cresciute in modo completamente diverso rispetto ai loro coetanei che manifestavano in piazza contro gli americani; ma anche in mezzo all’inferno del Vietnam hanno conservato un loro sano provincialismo e non si sono corrotte.

Il racconto è affidato soprattutto alla loro voce, ed è talmente potente che basta a sé. “Mi innamoravo da sola” racconta a un certo punto sempre Daniela, che si era presa una bella cotta da sedicenne per un tecnico del suono tedesco. “Si metteva le puppe finte” ride di lei Rosssella: si è adolescenti anche in mezzo alla guerra, si ha il tempo di pensare all’amore, per quanto in testa riecheggi la voce della mamma che prima della partenza si era raccomandata di “tenere la scatolina chiusa”.

Quando, dopo tre mesi di fatica e avventura sono finalmente tornate a casa, le Stars non immaginavano di trovarsi processate e giudicate, nella provincia rossa delle case del popolo e del Pci, per quello che in fondo era stato il frutto non di una scelta ma di un equivoco.

La sensazione amara che resta in bocca è che gli sia toccata la stessa sorte dei reduci del Vietnam. “A volte mi basta l’odore di birra e sigarette per essere di nuovo lì”, racconta una di loro. Poco dopo hanno quasi tutte smesso di fare musica o di occuparsene (solo Rossella ora insegna), sono arrivati anni di rimozione, finché Wilma Labate non le ha spinte a rimuovere il rimosso. E mettere così in luce il terzo e definitivo errore di questa storia: quello che tutti facciamo quando giudichiamo senza ascoltare.