Daniela Poggi, “esodata” che scende in piazza, ma per mendicare
In sala dal 9 novembre (per Stemo Production) “L’esodo” di Ciro Formisano. Il tema è quello drammatico degli esodati, ossia le vittime del decreto “Salva Italia” del 2011 che condannò allo sbando migliaia di persone, senza pensione e senza possibilità di trovare un nuovo lavoro. Daniela Poggi nei panni dell’esodata costretta a mendicare. La causa è nobile, la realizzazione un po’ meno…
La causa è nobile, la realizzazione un po’ meno. Così si potrebbe commentare dopo aver visto L’esodo, opera del giovane regista Ciro Formisano, condotta in porto con l’autofinanziamento. Già il titolo è ambiguo. Perché allude a una moltitudine in partenza. Qui si tratta di un gruppo di persone gli “esodati”, niente affatto in partenza, semmai retrocessi.
Sono le vittime di un decreto chiamato, alla fine del 2011, “Salva Italia” emesso dal governo Monti-Fornero. Che però non “salvò”, bensì condannò alcune migliaia (350.000 si disse) di donne e di uomini. Erano persone che avevano lasciato il proprio lavoro poco prima dell’entrata in vigore delle nuove norme, contando su una pensione nell’arco di pochi anni. E che si trovarono allo sbando, senza pensione e senza possibilità di trovare un nuovo lavoro. Una discreta folla che per anni ha dovuto trascinare le proprie esistenze e molti sono ancora in quel drammatico limbo.
Il regista ha estratto da costoro, una figura, una donna, Francesca (interpretata da Daniela Poggi) e su questa ha costruito il racconto. Un po’ strappalacrime, un po’ condotto a base di stereopiti. La protagonista, un’ elegante sessantenne, definita da un amico, nello stesso film, una “borghese perbenista” per far fronte a necessità vitali (il cibo, le bollette, l’affitto) decide di fare la mendicante. E sceglie come luogo della propria attività proprio una piazza centrale di Roma, piazza della Repubblica. Un’esperienza drammatica, umiliante, come tante altre viste a occhio nudo in questa stessa città.
Solo che qui manca lo sguardo acuto di un Ken Loach. Uno sguardo capace di approfondire, scavare, giocare. Le immagini scorrono un po’ prevedibili e dipanano la storia dell’esodata alle prese con la nipotina adorata, Mary (Carlotta Bazzu) e, prima, con la figlia persa nel tunnel della droga. Con intorno i segnali di un’esistenza scarna. Come la scatoletta di tonno che diventa scodella per le monete elargite. Una vita alle prese con un mondo afono, poco convincente.
Così nell’interloquire con i compagni esodati e sindacalizzati che accorrono a manifestare con le bandiere rosse nella stessa piazza e che invano cercano di convincerla a partecipare alla manifestazione democratica. Lei non ci crede: “non è la mia battaglia” dice. Così respinge anche le profferte dell’amico Cesare, intento a vestire i panni dell’estremista. Sono introdotti anche personaggi machiettistici come la zingara che vuole rubarle il posto in piazza sotto la colonna. Mentre si comprende poco l’immagine del ragazzo che affronta il carro armato in piazza Tienanmen a Pechino.
Altre sequenze scorrono con più naturalezza. Come quando la protagonista si concede una passeggiata turistica in macchina, lungo, il raccordo anulare, con un altro amico, Peter, un cittadino tedesco. Oppure quando in qualche modo dialoga con la Fornero in una scena surreale in cui l’ex Ministra si vede solo di spalle. Cosicché quando si sente dire “non avevamo altra scelta”, a proposito dei sacrifici imposti al mondo del lavoro, lei, l’esodata risponde “Anche io non avevo altra scelta”.
Ecco se questa opera di Formisano avesse insistito di più su questa chiave ironica ne sarebbe scaturita un’opera più convincente. Certo resta un film da vedere, se non altro perché affronta una tematica di estrema attualità, nel caos delle diseguaglianze sociali. Tematica ignorata dalla pioggia delle italiane commedie “divertenti”, spesso sempre uguali.
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