Diviso tra due mamme. Quando c’era il PCI e l’Italia era solidale nel film di Cristina Comencini
Passato alla Festa di Roma “Il treno dei bambini” di Cristina Comencini dall’omonimo bestseller di Viola Ardone. La storia di uno dei ragazzini del Sud accolto in una famiglia del Nord grazie ai “treni della felicità”, straordinario programma di solidarietà organizzato nel dopoguerra dal PCI. Enfasi e lacrimoni per un film adatto al grande pubblico destinato a Netflix dal 4 dicembre …
Su quella straordinaria storia di solidarietà promossa dal PCI nell’immediato dopoguerra che sono stati i “treni della felicità” c’è un’infinità di materiale, libri, documentari e pure uno spettacolo teatrale. Ma resta comunque sconosciuta ai più. Il treno dei bambini di Cristina Comencini, passato alla Festa di Roma, avrà sicuramente il merito di renderla popolare. Anche perché gran parte del lavoro l’ha già fatto l’omonimo bestseller di Viola Ardone a cui è ispirato (in libreria per Einaudi). E Netflix, dove passerà dal 4 dicembre, farà sicuramente la sua parte.
Gli ingredienti per arrivare al vasto pubblico ci sono tutti. Bambini poveri ed affamati che dalla miseria della Napoli del dopoguerra, lasciano le loro mamme e vengono accolti dalle famiglie contadine del modenese che certo, anche loro non sguazzano nell’oro, ma per solidarietà fanno un sacrificio in più. Che poi è stato quello che è accaduto realmente nel biennio 1945-1947. L’Unione Donne Italiane e il Partito Comunista hanno promosso questo straordinario programma per offrire un’opportunità e un pasto caldo ai tanti ragazzini del Sud che la guerra aveva lasciato ancora più a terra degli altri.
Viola Ardone tra quelle storie di solidarietà ha lavorato di fantasia, tirando fuori quella di Amerigo Speranza, scugnizzo dei Quartieri Spagnoli, con mamma Antonietta lasciata sola da un marito emigrato in America, forse, e un amante che tiene moglie e figli e fa il mercato nero. La miseria è tale che Amerigo sogna un paio di scarpe e pure un po’ più minestra in tavola. Con delicatezza ed ironia nella scrittura di Viola Ardone seguiamo il percorso (in treno) del ragazzino dal suo basso nel vicolo napoletano alla nebbiosa fattoria modenese in stile Novecento, dove l’accoglierà Derna, sindacalista e militante comunista poco incline alle tenerezze materne.
Ci vorrà poco perché il piccolo Amerigo trovi in lei una mamma del Nord e nel falegname e liutaio pater familias, comunista anche lui, un insegnante di violino (gliene regalerà uno fatto con le sue mani) che da quel momento diventerà la sua ragione di vita e la sua futura professione. Una speranza, quella della musica, per il piccolo Speranza che mamma Antonietta, però, stroncherà sul nascere certa che l’arte non è per gente come loro. Una fuga di Amerigo, nuovamente dalla mamma del Nord, cambierà per sempre il suo destino.
Raccontare i bambini è stata una grande prerogativa di papà Luigi. Comencini ovviamente. Cristina, più incline alle crisi esistenziali al femminile, si muove in questa storia spingendo su enfasi e lacrimoni, amplificati dall’accompagnamento musicale di Nicola Piovani.
Voglia di Neorealismo e siparietti alla Peppone e Don Camillo, soprattutto nelle sequenze napoletane, completano il quadro da melodramma in cui si muove il piccolo Amerigo, unico portatore sano d’ironia della storia (è lui la voce narrante nel romanzo).
Firmano la sceggiatura gli stessi di C’è ancora domani: Furio Andreotti e Giulia Calenda – figlia della regista – a cui si aggiunge oltre alla stessa Comencini anche la nipote Camille Dugay (figlia di Francesca Comencini). E del fortunato film di Paola Cortellesi risuonano ambientazioni e tematiche. Sono le donne, quelle organizzate nell’UDI, a spingere i “treni della felicità”. Sono le madri, le sindacaliste, le compagne a rivendicare i loro diritti dopo aver fatto la resistenza come gli uomini e aver preso il loro posto in fabbrica durante la guerra.
Sarà uno schiaffo di un compagno dato in pieno volto a Derna che spingerà il piccolo Amerigo a togliersi il fazzoletto rosso di cui andava fiero. A dirci, insomma, che anche nel PCI le cose per le donne non andavano meglio. Barbara Ronchi nei panni della mamma del Nord e Serena Rossi in quelli di Antonietta si muovono agli antipodi, tra sceneggiata per quest’utima ed equilibrio e riservatezza per l’altra. Mentre l’immobile Stefano Accorsi nei panni di Amerigo adulto e affermato pianista, offre la sua buona dose di ingessatura nel momento clou.
Resta comunque la storia di solidarietà di fondo, l’esempio edificante di un’Italia unita tra Nord e Sud per sostenere i propri figli che, in era Salvini, come i nostri vale la pena ricordare. La dedica finale a madri e figli vittime di tutte le guerre, strappa l’applauso, scrosciante in sala. E così sia.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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