Era mia madre, Moretti di fronte al lutto
Confessione a nervi scoperti di un regista di fronte al dolore più intimo. Un film nel film che dice dell’incertezza del presente e di un universo che sta scomparendo. Con Margherita Buy, John Turturro e Giulia Lazzarini…
Un lutto, quello di una madre che trascina con se uno spaesamento più generale, di fronte ad un mondo che sta scomparendo. Dove è difficile trovare un filo, un appiglio, forse anche una speranza. Dopo il regista in crisi de Il caimano (Silvio Orlando) e il pontefice che abbandona di Habemus Papam (col gigantesco Michel Piccoli), stavolta Nanni Moretti affida il suo alter ego a una donna: Margherita Buy, sempre più brava e “densa” nel vestire i panni “morettiani” di una regista il cui senso di inadeguatezza la travolge, parallelamente alla malattia della madre (una straordinaria Giulia Lazzarini) che si troverà ad accompagnare alla fine.
Più personale, onirico, più autobiografico degli altri, Mia madre è una delicata e magnifica confessione a nervi scoperti di un autore che a sessant’anni non smette di interrogarsi su se stesso, sul cinema e sul suo modo di stare al mondo. Lontane ormai le certezze e la coerenza maniacale di Michele Apicella, oggi l’unica certezza di Moretti è il suo profondo senso di inadeguatezza di fronte al presente.
“Ma perché continuo a ripetere le stesse cose da anni. Tutti pensano che io sia capace di capire quello che succede, di interpretare la realtà, ma io non capisco più niente”, pensa ad alta voce Margherita di fronte alla platea di giornalisi, arrivati sul set del suo film che racconta una storia di operai, dell’ennesima fabbrica in dismissione, e delle lotte contro i licenziamenti. Un film di quelli “impegnati”, coi poliziotti che manganellano gli operai e così distante dall’estetica morettiana, in cui la parte del mattatore è affidata ad un irresistibile John Turturro, il “padrone” italo americano squalo che mette sotto ricatto i lavoratori. Ma che fuori dal set, invece, è un divo un po’ cialtrone, insicuro anche lui, che non si ricorda le battute e che millanta ruoli in film di Kubrick mai girati.
In mezzo sta Margherita- Moretti che si divide tra il set e le cure della madre in ospedale, condivise col fratello Giovanni, lo stesso Nanni, ingegnere che abbandona la professione per chiudersi in questo lutto annunciato. “Perché mi date sempre retta. Il regista e solo uno stronzo a cui lasciate fare si tutto!” grida Margherita sul set, spaesata, evanescente come nella sua vita privata. Alle spalle una separazione, una figlia adolescente che non conosce davvero (la brava Beatrice Mancini), un fidanzato liquidato senza parole (Enrico Ianniello) che affonda sbattendole in faccia tutti i suoi errori.
Tra commedia e dramma, come nella vita, si susseguono le visite in ospedale, i sogni che si confondono continuamente con la realtà, i piani narrativi che si intersecano, sulle solida sceneggiatura scritta a sei mani dallo stesso regista con Valia Santella e Francesco Piccolo. Come la madre di Nanni, scomparsa durante le riprese di Habemus Papam, anche quella del film, Ada, è un’insegnante di latino in pensione, di uno storico liceo romano. E pure lei, coi suoi libri e quegli ex studenti che ancora oggi la vengono a trovare, ci dice di un mondo che sta scomparendo, lasciando un vuoto che non si sa bene di cosa riempire. “Pareti di libri – dice Margherita guardando l’enorme libreria di famiglia – . Dove se ne andranno?”
Non sono certo tempi di certezze i nostri. “Più il tempo passa, più il disagio cresce”, confessa lo stesso Nanni, “pensavo invece che invecchiando sarebbe diminuito”. E non è il solo. Il film, da non perdere, sarà in sala il 16 aprile, per 01. E lo stesso giorno si saprà anche se farà parte del cartellone di Cannes.
Audio clip: Bevete più latte / John Turturro
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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