Fantozzi prima di Fantozzi: uno scrittore di successo bestiale

È scomparso nella mattina del 3 luglio all’età di 84 anni Paolo Villaggio, corpo e anima di Fantozzi. Non tutti sanno, però, che la sua celebre maschera tragicomica e le sue imprese prima di essere film sono stati libri di successo “bestiale”. E ancor prima spassosi racconti orali da cabaret che facevano sbellicare dalle risate anche Ennio Flaiano…


Forse non tutti sanno che – e per quei pochi che non lo sanno – glielo ricordiamo noi. La maschera e le imprese di Fantozzi inventate da Paolo Villaggio (scomparso nella mattina del 3 luglio all’età di 84 anni) prima di essere film sono stati libri di successo «bestiale».

Anzi, prima ancora, spassosissimi racconti orali fatti in piccoli teatrini e cabaret, tra i quali il «Sette per Otto» a Roma, dove in una serata del 1967, Maurizio Costanzo favorì l’esordio dell’allora sconosciuto comico genovese. Si racconta che quella sera, tra il pubblico, c’erano Garinei e Giovannini, Ugo Tognazzi e Ennio Flaiano che a forza di ridere, pare, cadde dalla poltrona.

La tradizione orale della Fantozzeide, però, si fa conoscere dal grande pubblico televisivo con un mitico programma della Rai Quelli della domenica che andava in onda alla domenica pomeriggio sul Programma Nazionale (c’era solo quello), dopo la tv dei ragazzi e prima del secondo tempo di una partita di calcio di serie A. In quello studio, dal 21 gennaio al 30 giugno 1968, assistemmo alle incursioni tragicomiche di Ugo Fantozzi, di Giandomenico Fracchia, del Professor Kranz e agli stralunati scketch di Cochi e Renato.

Forte della notorietà televisiva, Paolo Villaggio fu ingaggiato dal settimanale L’Europeo che gli chiese di scrivere brevi racconti con protagonista lo sfigato ragioniere. E di lì a poco, nel 1971, arrivò nelle librerie, edito da Rizzoli, il primo di una lunghissima serie di volumi, intitolato semplicemente Fantozzi.

Ne seguiranno almeno una dozzina, intervallati da altri titoli «villaggiani» dall’analogo tono grottesco e tragicomico.

Paolo Villaggio si rivela un ottimo scrittore e infarcisce le comiche avventure con iperboliche aggettivazioni (megagalattico, bestiale, pazzesco); veste se stesso con un abbigliamento da travet (lo spigato siberiano o il costume da bagno ascellare); è vessato da aristocratici e padroni da cognomi, titoli e patronimici demenziali (la contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare o il Dott. Ing. Cav. Grand Uff. Lup.); proclama  l’indimenticabile stroncatura cinematografica («per me La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca», vedi qui). E, soprattutto, rivendica i popolarissimi – nel senso di parlati e diffusi – congiuntivi (batti, venghi, vadi, facci…).

Non staremo qui a fare l’esegesi critica o a tentare un’ennesima e scontata interpretazione sociologica del Villaggio scrittore. Ci basterà dire che i suoi racconti sono migliori della decina di film che ne sono stati tratti (i più belli sono i primi due, firmati da Luciano Salce nel 1975 e nel 1976). Ciò che nei film viene trasformato in gag stile slapstick e comica finale, nella parole scritte – al di là delle pur comiche situazioni – possiede una forza tragica e amara che sullo schermo si perde del tutto.

Tra le infinite avventure di Fantozzi ci piace ricordare la gita alle grotte di Postumia, guidata dal professor Ugo (anche lui!) Zingales. Finisce, com’è ovvio, tragicamente: il professore sepolto da una stalattite preistorica che gli crolla in testa; e Fantozzi che si salva riemergendo «dalla coppa del cesso di un Presidente completamente nudo». Furono accolti a cartate, chiosa il ragioniere e l’indomani, a chi in ufficio gli chiedeva: «Come è andata poi la sua gita alle grotte?». Rispondeva tristemente: «A rotoli!».