Gouache franco nipponica in due interni. Kore-eda in cerca di verità tra madre e figlia
In sala dal 10 ottobre (per Bim) “Le vérità“, incursione parigina del giapponese Hirokazu Kore-eda, abile narratore dei rapporti di famiglia. A partire da una sua pièce il regista mette in scena una dolente e divertente gouache franco nipponica che racconta del conflittuale, irrisolto rapporto tra una madre ingombrante e troppo presa dalla sua arte (Catherine Deneuve) e una figlia ombrosa (Juliette Binoche). Ha aperto il concorso di Venezia 76 …
Sarà perché ho l’esatta età di Fabienne-Chaterine; sarà perché, per professioni di famiglia, ho ancora pallide tracce di quel rancore difensivo di figlia di un artista, ingombrante e sfuggente protagonista, di cui ti segna per sempre l’enigma della sua verità affettiva.
Sarà perché trovo davvero formidabile che un regista giapponese come Hirokazu Kore-eda (Palma d’oro lo scorso anno a Cannes con Un affare di famiglia) affronti con nonchalance un film che sembra girato e scritto da un perfetto francese senza parlare altra lingua che la sua (io parlo a mala pena solo l’italiano). Insomma per tutti questi perché, di vaga affinità, ma ovviamente non solo, mi ha molto commosso e divertito il delicato e pungente La vérité”, ritratto di famiglia in due interni che Kore-eda ha tratto da una sua pièce teatrale.
Due interni parigini, perché è ambientato, nella maison-castello (che non a caso ha una prigione alle spalle) di Fabienne, una diva del cinema che ha appena dato alle stampe la sua autobiografia; ma anche nel set dove l’attrice sta girando un film di fantascienza, storia piuttosto speculare di una madre che, per salvarsi dalla morte e non invecchiare mai, va e viene, sempre uguale, dallo spazio, mentre la figlia, interpretata da varie attrici in base all’età, raggiunge quella di Fabienne che è anche quella di Deneuve: 73 anni. Età in cui, anche un’artista forte, intelligente, dotata d’ironia pungente, comincia a percepire il vuoto, ad inciampare.
Dai due interni si spostano, spesso tutti insieme, la diva, il suo storico assistente, ma anche la figlia, il marito, fallito attore americano (Ethan Hawke), e la loro bimbetta (che dimostra da subito parecchie affinità con la nonnetta strega) appena arrivati da New York per “festeggiare” l’uscita del suo libro.
Oltre al gioco evidente d’identificazione tra la diva egocentrica del film e chi la interpreta, cui la Deneuve aderisce con divertita e veramente eccezionale bravura, mentre le fanno da contorno tutti attori di gran qualità, a cominciare dalla giovane attrice sul set che alla diva ricorda una sua antica amica-rivale morta in un misterioso incidente (Manon Clavel al suo esordio nel lungometraggio), fino alle bimbe che del resto il regista dirige sempre magistralmente nei suoi film, La vérité è soprattutto la storia del conflittuale, irrisolto rapporto tra una madre ingombrante e una figlia ombrosa.
Perché la madre, non anaffettiva, ma troppo presa da un’altra vera passione, che è quella di esprimersi con la sua arte, non è mai riuscita a soddisfare il desiderio bulimico di affetto di Lumir, la figlia rancorosa, anche se intelligente che Juliette Binoche interpreta perfettamente.
Le verità non si scoprono, ovviamente, come spesso succede nella vita. Si scopre invece la capacità di accettare le proprie e altrui differenze.
Che è già cosa non da poco.
PS: una risposta ai criticoni con penna pronta ad elencare gli innumerevoli film sul rapporto conflittuale tra madre e figlie; dive anziane e nascenti e film nei film: la verità è che quel che pesa in un film non sono le citazioni, ma la qualità. Che in questa dolente e divertente gouache franco nipponica (che in Italia vedremo distribuita dalla Bim) non manca per niente.
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