Il ritorno di Antonio, alla Sic
Venticinque anni dopo l’esordio con “Vito e gli altri“, Capuano è alla Settimana della critica con un film su Bagnoli, in un’edizione, la trentesima, in cui l’Italia è in concorso con un’opera prima “migrante”, ambientata in terra di Albania…
Non ci sono film tratti da libri in questa edizione numero trenta della Settima della critica di Venezia, sezione autonoma della Mostra (dal 2 al 12 settembre), capitanata da Frencesco Di Pace e dedicata a Callisto Cosulich, decano dei critici cinematografici, appena scomparso.
Però c’è un grande ritorno. Quello di Antonio Capuano, esponente lucido e rigoroso di quella “nuovelle vague napoletana” che, a partire dagli anni Novanta, fece emergere autori come Mario Martone, Antonietta De Lillo, Stefano Incerti, Pappi Corsicato e in cui si formò Paolo Sorrentino. È stata proprio la Sic, 25 anni fa, a premiare e lanciare il suo film d’esordio, Vito e gli altri, prima incursione, dolorosa e audace, nel mondo dell’infanzia – quella dei bambini di strada napoletani – tema portante di tutta l’opera di Antonio Capuano, compreso l’esplosivo e “scandaloso” Pianese Nunzio, 14 anni a maggio, che raccontava di preti pedofili.
“Insomma le cose sono andate che nel 1991 – scrive Capuano nelle note di regia – , il mio primo film, Vito e gli altri, si è fatta qua la Settimana della critica… poi lui, Vito, il ragazzino che l’aveva interpretato, cominciò la ruota del carcere. Aveva 12 anni e mezzo. Oggi, 25 anni dopo sta ancora carcerato. È entrato e uscito/entrato e uscito/entrato e uscito… ed io ritorno a questa Settimana tirandomi anch’io le mie palle al piede, che sono i miei film, come una condanna parallela… su una strada lunghissima, tutta saliscendi che, costeggia, meno male, il mare”.
Capito che tipo è Antonio Capuano? “Il suo rigore, il suo cinema etico”, come sottolinea Dario Formisano, produttore insieme alla enjoy movies, del suo nuovo film, lo portano sempre ad affrontare realtà scomode e dimenticate. Come la giungla di Bagnoli, infatti, che ha raccontato in questo suo nuovo lavoro, “invischiato” di cinema del reale, che passerà fuori concorso alla Sic. Titolo: b. j., bagnoli jungle.
Una storia che lo stesso regista riassume così: “Un mariulo sui 50 anni. Un pensionato Italsider che ha passato gli 80. E un garzone di salumeria di 18. Tre generazioni a confronto nella giungla. Intorno all’ex gloriosa fabbrica”. Un tempo miraggio di un sogno industriale che trasformò il popoloso quartiere in “cittadella operaia”, poi dismessa con tutta la sua popolazione all’indomani della chiusura dello stabilimento nel 1992. “E oggi – parole di Capuano – il quartiere ancora si estenua a trarre, dalle sue rugggini, da quelle infamie, nuove ruggini e altre infamie… Ne è riprova l’immensa area svuotata, a ridosso del mare, che dopo più di 20 anni, è rimasta una steppa inquinata, desolata e vuota”.
E chissà se sono scappati via proprio da Bagnoli, o da quale altre parte devastata d’Italia, i protagonisti di Banat (il viaggio), opera prima di Adriano Valerio, in concorso alla Settimana? In realtà Ivo (Edoardo Gabbriellini) e Clara (Elena Radonich) sono di Bari, ma immersi come tanti giovani di oggi nella precarietà di un futuro difficile da costruire. Che dunque vanno a cercare proprio in Albania, da dove tanti loro coetanei fanno il cammino inverso, verso le nostre coste, ancora miraggio di benessere. Banat, insomma, è una storia di immigrazione al contrario, proprio come quella già raccontata nel 2006 da Cover Boy, piccolo gioiello di cinema autarchico low budget, firmato da Carmine Amoroso. E colpevolmente uscito in sala come una meteora.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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