La magnifica ossessione di un imbalsamatore di cinema

Matteo Garrone sorprende con “Il racconto dei racconti” ispirato al capolavoro dello scrittore secentesco. In concorso a Cannes il 14 maggio e in contemporanea nelle sale per 01…

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Chi pensava ad una versione italiana del Trono di spade si sbagliava di grosso. Il racconto dei racconti è puro cinema d’autore che affonda le sue radici tra la pittura di Goya e Bosch (i Capricci e Le tentazioni di Sant’Antonio), nell’artigianato del cinema pre effetti speciali, tra Mario Bava e il Monicelli dell’Armata Brancaleone, più horror che fantasy, più inquietante, se possibile, delle già inquietanti e crudeli favole di Giambattista Basile da cui attinge tutta la straordinaria modernità. Matteo Garrone, insomma, ha fatto centro.  Chiudendo, in questo film, il cerchio del suo percorso artistico, stretto da sempre tra horror e favole nere, da l’Imbalsamatore a Primo amore, da Reality a Gomorra, storie prese dalla cronaca, certo, ma ugualmente virate ai colori bui dell’ossessione e del noir.  “C’era una volta un nano che imbalsamava dei grandi animali e si innamorò di un bellissimo giovane…”, dice lo stesso Garrone parlando del suo incredibile Peppino Profeta… Non sembra forse una favola di Basile? E che dire di questo nuovo medioevo che stiamo vivendo, tra immagini di decapitazioni in diretta, stragi in mare, violenza e cupidigia? Il visionario genio secentesco che col suo Cunto de li cunti ha nutrito l’immaginario fiabesco dell’intero Occidente (da Perrault ai fratelli Gimm), sembra quasi un cronista contemporaneo che spinge all’estremo – come è proprio delle favole – i sentimenti umani, dicendo di un mondo che vive tra orrore e meraviglia.

Tra i cinquanta racconti de Lo cunto, Garrone ne ha selezionati tre, in cui l’attualità dei temi è persino folgorante. L’ossesione per la giovinezza di due vecchie lavandaie, diventa una feroce satira della chirurgia estetica che vediamo compiersi davanti ai nostri occhi incollando più in alto i seni avvizziti e le carni penzolanti, pur di arrivare nel letto del sovrano (Vincent Cassell) “divoratore compulsivo” di giovani donzelle. La regina ossessionata dalla maternità a tutti i costi (Salma Hayek) che passa sopra al cadavere del marito (John C. Reilly) attraverso una magica “eterologa” con un drago marino, pur di rimanere incinta e rovinare poi l’esistenza del povero figliolo (Christian Lees) costretto nell’inferno della sua possessività. O il Re di Altomare (Toby Jones) inetto sovrano allevatore di pulci che mette all’ingrasso fino a trosformarle in mostruosi maiali, che non esita a dare in sposa la povera principessa all’orrido orco, per non vinire meno al suo “onore” di sovrano. Salvo poi incoronare regina la giovane figliola, che torna vittoriosa dopo essersi salvata da sola dalle grinfie del mostro, in una sorta di lettura “femminista” che Garrone sposa, “tradendo” la favola che la vedeva salvata da un circense. Il circo, lo spettacolo viaggiante (altra ossessione del regista) è qui del resto a fare da filo conduttore alle tre storie che si intrecciano (nella carovana troviamo Massimo Ceccherini e Alba Rohrwacher), attraverso le magnifiche location della Puglia e della Sicilia, da Castel del Monte, capolavoro normanno, alle magiche gole dell’Alcantara. Scenografie naturali, che dicono stavolta della magia della natura e della storia che Garrone  attraversa con questo kolossal internazionale da 12 milioni di euro, che vede il regista anche nelle vesti di  produttore con la sua Archimede e la partecipazione di francesi, inglesi, oltre a Rai Cinema, ministero per i Beni culturali, Apulia Film Commission. E che soprattutto fa venire voglia di riaprire le pagine di Basile.