La “promessa” di Leconte, innamorato di Stefan Zweig

Uscito nelle sale italiane nel 2014 per Officine Ubu, “Una promessa” è tra i titoli proposti a Cagliari dalla rassegna,Patrice Leconte. Bagliori di cinema, vita e solitudini”. Una felice incursione nel melodramma a partire dal testo del grande viennese Stefan Zweig. A cavallo della Grande guerra l’amore impossibile tra un giovane ingegnere e la moglie del suo capo. E soprattutto una domanda: la passione può resistere al tempo?

Patrice Leconte, lo sappiamo, è un grande viaggiatore dei vasti territori cinematografici. E qui, dopo la felice incursione nell’animazione con La bottega dei suicidi, torna alla letteratura. Parecchi anni prima, nel 1989, era stato proprio l’adattamento di un romanzo di Georges Simenon (ll fidanzamento del signor Hire), ad avergli regalato, finalmente, la stima della critica internazionale, grazie a quel dramma noir, L’insolito caso di monsieur Hire, che avevano già portato sul grande schermo Julien Duvivier (Panico, ’46) e Ladislao Vajda (Barrio,’47) e che lui rinnova attraverso una sapiente regia di sguardi e le splendide interpretazioni di Sandrine Bonnaire e Michel Blanc.

Ora invece, a stregare Leconte, è un testo del grande viennese Stefan Zweig, le cui opere sono state bruciate dai nazisti e le cui origini ebraiche lo hanno portato a fuggire fino in Brasile dove si è tolto la vita nel ’42. È Viaggio nel passato, il titolo in questione, un romanzo breve del ’29 (pubblicato in Italia nel 2012 da Ibis Edizioni) che già sulla carta sembra un film del regista francese, per l’abilità dello scrittore di raccontare attraverso piccoli segni, gesti solo accennati, sguardi silenziosi, da cui cogliere i pensieri fugaci, le parole inespresse, la profondità dell’inconscio e i tormenti della passione.

Stefan Zweig, rappresentante di punta di quel mondo intellettuale che ha vissuto l’entusiasmo progressista della Belle Epoque rimasto poi sotto le macerie del primo conflitto mondiale, è, infatti, un grande narratore di anime tormentate. Spesso travolte da amori impossibili come la protagonista di un altro suo folgorante racconto, Lettera di una sconosciuta, dal quale Max Ophüls ha tratto l’omonimo film del 1948, con Joan Fontaine.

Amore impossibile è quello del giovane Friederich per Lotte in Una promessa. Impossibile prima perché lei è la moglie del suo capo e impossibile tanto più dopo, perché i tanti anni di lontananza hanno minato la passione.

Del resto è proprio questo il fulcro del romanzo di Zweig e del film di Leconte, quella domanda insidiosa che suona più o meno così: il desiderio, la passione possono resistere al tempo?
Per Zweig la risposta è no, che esprime soprattutto attraverso il loro muto interrogarsi su che cosa sia rimasto di quell’amore così intenso. Leconte, invece, è meno pessimista e regala ai due amanti un piccolo spiraglio di speranza, anche se immerso tra i cupi presagi di una manifestazione nazista.

Al suo primo film in lingua inglese Patrice Leconte costruisce un melodramma sensuale che, a differenza di molto cinema francese “chiacchierone”, riesce a narrare silenzi, assenze e mancanze.

Il desiderio segreto dei due amanti si fa ossessione sotterranea attraverso dettagli, sguardi, non detti. La nuca di Lotte, (una intensa Rebecca Hall) in primissimo piano, diventa per il giovane Frederick (Richard Madden, popolare volto del Trono di Spade) lo spazio angusto del suo desiderio, così come i fianchi della sua amata che vede muoversi mentre salgono le scale a pochi centimetri l’uno dall’altra.

La passione brucia sottotrama, nel segno di quell’ambiguità tanto cara al cinema di Leconte che nello sguardo del vecchio marito Karl (il britannico Alan Rickman già volto del letterario, Ragione e sentimento da Jane Austen) sembra voler addirittura incoraggiare il fatale triangolo. Di fronte al quale lo spettatore non può che parteggiare per i due giovani amanti.