Le bombe di Gaza viste dai bambini. Nel cinema che allunga la memoria

In sala dall’8 ottobre (distribuito dalla Cineteca di Bologna) La strada dei Samouni”, di Stefano Savona. Il doc è dedicato al massacro di Gaza, compiuto dall’esercito israeliano nel 2009. Protagonisti i ragazzini di una famiglia contadina che sotto le bombe hanno perso il padre e un fratello, ma non la speranza di un futuro. Al di là di ogni integralismo. I disegni di Simone Massi danno forza e poesia a questa favola nera che indigna e sorprende. Premio “Oeil d’Or” come Miglior documentario di Cannes 71 …

Ci sono le macerie dei bombardamenti israeliani del 2009 che misero a ferro e fuoco la striscia di Gaza, massacrando centinaia e centinaia di civili. Ci sono i manifesti dei “martiri”, le vittime del massacro, che Hamas sbandiera come armi. E c’è una famiglia  palestinese che, nell’operazione “Piombo fuso”, ha perso il padre e un fratellino.

In mezzo a quella rovina è rimasta la madre con la piccola Amal e i suoi fratelli, e sono loro a raccontare. Raccontano una favola nera, un massacro ad altezza di bambino. Una storia in cui repertorio e animazione (quella magnifica di Simone Massi) si intrecciano offrendo uno spiazzante spaccato di memoria. Tragica, sicuramente, ma capace di parlare di futuro, di volontà di resistere e ricostruire e, soprattutto, di non cedere al cammino obbligato dell’integralismo.

È questa La strada dei Samouni. Ce la indica Stefano Savona col suo nuovo tassello di cinema del reale, presentato alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes. Un lavoro lungo dieci anni, cominciato proprio sotto le bombe israeliane (ne venne fuori il doc Piombo fuso, 2009) e proseguito nel tempo, seguendo l’elaborazione del lutto di questa numerosa famiglia di agricoltori palestinesi, i Samouni.

Il regista, ci racconta, era impegnato in quel momento in una ricerca sui contadini siciliani, quando in un attimo ha avuto chiaro come quella cultura della terra, coi suoi simboli millenari, andasse bel oltre lo stretto di Messina. Contadini sono anche i Samouni, da generazioni. Nei loro ricordi di ragazzini ci sono uliveti, limoni, piante di malva e, soprattutto, quel grande albero al centro del villaggio, dove si riunivano prima delle bombe che l’hanno strappato via.

E sono le animazioni di Simone Massi a restituirci quei ricordi. Come pure i momenti più drammatici dell’attacco. Giorni e giorni di fuoco e bombe che, nei tratti poetici e serrati del disegnatore, riportano in vita le vittime, completamente ignare dell’inferno che si sarebbe scatenato.

I filmati dei droni – basati sui verbali dell’inchiesta giudiziaria delle stesse autorità israeliane – accrescono la tensione, fanno esplodere l’angoscia e l’indignazione. Come in un videogioco, dall’alto dei loro droni da guerra, i militari israeliani lanciano razzi sui civili, nelle case. Vedono ovunque terroristi e uomini armati. Anche se si tratta di pezzi di legno presi per riscaldarsi dal freddo di quel tragico gennaio. Il papà di Amal è freddato sulla porta di casa, poco prima che le bombe la spazzino via, quando sgomenti, assistiamo alla fuga dall’edificio dei fratellini.

Per ogni bomba lanciata, per ogni vita portata via, sai che altrettanti ragazzi palestinesi non esiteranno a farsi kamikaze. E davanti a quell’inferno finisce persino per sembrarti naturale. Ma non è così per i fratelli Samouni. Loro sono disposti persino a rinunciare al denaro offerto da Hamas. Al gioco al massacro dell’integralismo non ci stanno. Sono contadini, rivendicano. Piantare di nuovo e ricostruire è quello che sanno fare. E continueranno a fare.

Come Stefano Savona, archeologo prestato al documentario, che sa scavare tra le macerie per “ricostruire il passato – dice – . Altrimenti non può esserci futuro. Questa è la funzione del cinema”. E questo è quello che ci racconta La strada dei Samouni, in sala il prossimo autunno distribuito dalla Cineteca di Bologna.