L’Irlanda rurale di John McGahern. Con la giusta distanza di Pat Collins è un film da non perdere
“That They May Face the Rising Sun” l’ultimo romanzo dello scrittore irlandese John McGahern (1934-2006) è ora un bel film di Pat Collins, già autore di una particolare video-biografia dell’autore (“John McGahern – A Private World”). Entrambi i titoli sono in cartellone alla 15esima edizione di Irish Film Festa, in corso a Roma (Casa del cinema) dal 4 al 7 aprile. “That They May Face the Rising Sun”, ambientato in una remota comunità rurale, è una celebrazione lirica e amorevole della quotidianità, senza mai diventare ideologica o assertiva: McGahern e Collins descrivono un mondo tra i tanti possibili. Davvero consigliato …
John McGahern è uno dei nomi di primissimo piano della letteratura irlandese, anche se poco conosciuto fuori dall’ambiente anglofono. Purtroppo in Italia sono uscite non più di quattro o cinque sue opere, sparse tra Einaudi e Minimum Fax. Il successo dello scrittore, scomparso nel 2006, è per gran parte dovuto al fatto che i suoi primi libri hanno suscitato enorme scandalo nella religiosissima e iperconservatrice società irlandese totalmente impreparata ad affrontare, negli anni ’60 e ’70, temi che trattavano esplicitamente di abusi sui bambini, della sfida alla chiesa cattolica e al patriarcato.
Tuttavia nel suo ultimo romanzo, That They May Face the Rising Sun, inedito da noi e pubblicato nel 2002, l’argomento e il registro sono più quieti e pacificati rispetto ai precedenti: il racconto lungo un anno nella vita di una comunità rurale in un’area remota e scarsamente popolata ai confini con l’Irlanda del Nord.
Il libro, ora, è stato portato sullo schermo da Pat Collins, che ha scritto la sceneggiatura con Eamon Little, ed è in cartellone (il 6 aprile) alla 15esima edizione dell’ Irish Film Festa in corso a Roma, presso la Casa del Cinema dal 4 al 7 aprile.
Collins mette da sempre le mani nell’Irlanda rurale e “interna” scavando materiale sorprendente per molti suoi documentari. Oileán Thoraí, del 2002 descriveva intimamente la vita quotidiana dei 150 abitanti dell’isola di Tory, situata al largo della costa del Donegal. Nel 2005, John McGahern – A Private World (anche questo in cartellone nella rassegna romana) ha offerto una visione rara e significativa del processo creativo dello scrittore attraverso il prisma della sua fattoria nella campagna della contea di Leitrim.
Nello stesso luogo si snoda la storia di That They May Face the Rising Sun. Joe (Barry Ward) e Kate (Anna Bederke) conducono una vita serena nella loro fattoria, in quell’angolo d’Irlanda dove lui era nato e cresciuto prima di lasciare il paesello per Londra. Cominciamo a conoscerli quando sono già passati cinque anni dal loro ritorno.
Lui è scrittore (alter ego di McGahern, ovviamente), lei è un’artista e fotografa comproprietaria di una galleria londinese di discreto successo. Le giornate creative si mescolano alla cura degli alveari, alla coltivazione dell’orto e al tenere aperta la porta di casa per ogni vicino di passaggio per un pettegolezzo, una tazza di tè o alla ricerca di un consiglio. Una vita la cui quiete se non rappresenta la felicità, di sicuro almeno la serenità.
Possono sentire il sole sul viso, respirare l’aria profumata e apprezzare tutto ciò che li circonda. Una scelta di vita che la regia di Collins e la visione del direttore della fotografia Richard Kendrick aiutano a comprendere indugiando sulla bellezza del paesaggio naturale e delle relazioni umane. Le siepi si estendono lungo i lati delle strade, un capanno i cui tempi di costruzione sembrano dettati dai rami bassi degli alberi che lo sovrastano. Il canto degli uccelli è la colonna sonora non meno portante delle delicate note per pianoforte di Irene e Linda Buckley.
Ad alcuni potrebbe sembrare l’inno ad un’ Arcadia agro-silvo-pastorale la cui dolcezza rischia di allappare e far cariare i denti ma non è così. Joe e Kate guardano i loro vicini con una sorta di benevolenza ricambiati dall’affettuoso stupore dei locali. Compreso il pungente Patrick (Lalor Roddy) che pure sminuisce il loro amore per la pace della vita rurale e sembra risentirsi per il piacere che provano nelle cose semplici, pur godendo di un benessere economico (mai esibito) che tutti nei dintorni possono solo sognare. La gente ha conosciuto la povertà e le asperità della vita: quelli sono luoghi da cui generazioni sono scappate per trasferirsi in città, ed è come se Joe e Kate avessero fatto un’inspiegabile scelta anacronistica rispetto agli agi della modernità.
L’efficacia di un film così ben confezionato dipende anche da un cast di attori di grande esperienza capace di rendere al meglio lo spessore dei personaggi. Il Joe di Barry Ward è una figura gentile e comprensiva, un brav’uomo che condivide generosamente con gli altri il suo tempo e le sue emozioni. L’osservazione del panorama umano che lo circonda e i giorni perfetti alimentano la sua scrittura, aggiungendo una narrazione fuori campo che collega strettamente il film al testo del romanzo di John McGahern e agli elementi autobiografici che contiene. Kate è forse meno presente in scena, ma Anna Bederke la veste di un senso di certezza su ciò che vuole e dove vuole essere.
Una galleria di affermati caratteristi irlandesi (Ruth McCabe, Sean McGinley, ecc.) danno vividamente risalto alle persone che diventano indispensabili per la vita di Joe e Kate. Phillip Dolan è il misurato e gentile agricoltore Jamesie e Lalor Roddy è particolarmente degno di nota nei panni di Patrick, catturando le emozioni complesse e agrodolci di un uomo dai tormenti soffocati.
Il film richiede allo spettatore una sorta di abbandono ai tempi dilatati, alla circolare ritualità del racconto, come in un flusso di coscienza. Pat Collins richiede allo spettatore di accomodarsi e osservare dalla giusta distanza quella comunità rurale irlandese, conoscerne i personaggi e prendersi cura di loro, esattamente come fanno Joe e Kate. E come facevano gli zii di Cáit, la bambina protagonista di The quiet girl di Colm Bairéad, film che torna in mente, ma senza gli aspetti drammatici. O la comunità de Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin) di Martin McDonagh, ma depurato del paradossale e del grottesco della storia.
Il lavoro di Collins è spesso bilingue, utilizza sia l’irlandese che l’inglese, come dimostra anche That They May Face The Rising Sun che mescola entrambe le lingue per sottolineare quanto siano profonde le radici identitarie.
That They May Face The Rising Sun è una celebrazione lirica e amorevole della quotidianità, senza mai diventare ideologica o assertiva: McGahern e Collins descrivono un mondo tra i tanti possibili.
Gino Delledonne
Gino Delledonne
Architetto e docente universitario a contratto. Ha collaborato alle pagine culturali di vari giornali tra i quali "Diario" e "Archivio". Devoto del gruppo garage punk degli Oblivians.
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