Nuotando lungo la scia del sole. C’è una “Madre” che è un colpo al cuore

Nuovo appuntamento con la rubrica dal Festival di Venezia 76 di Gianluca Arcopinto, produttore indipendente, scopritore di giovani talenti, distributore coraggioso, scrittore, regista, docente al Centro sperimentale di cinematografia di Roma e giurato del nostro premio Bookciak, Azione!. Una panchina sulla laguna da cui osservare la Mostra “senza essere visti”, tra film e riflessioni a margine del mondo del cinema e non solo …

Stamattina presto sono andato a correre. Sei chilometri, per poi poter andare a vedere il primo film della giornata alle 8.30. Il bello di correre al Lido è che se vuoi ad un certo punto ti puoi spostare sulla spiaggia, che chiaramente a quest’ora è deserta. Il che non guasta mai.

Mi ci voleva questa corsa. Ho finito e come sempre mi lascio un po’ di strada da percorrere camminando. Sono ancora sulla spiaggia. Ma in fondo chi me lo fa fare di andare a vedere il film delle 8.30? Lo vedrò a Roma. Rimango un po’ qui. Mi siedo a guardare il mare.

Il sole è ancora basso e crea sull’acqua la sua scia sottile che da bambino mi sembrava una strada da percorrere a nuoto. Lo facevo tutte le sere, perché sono cresciuto dove il sole tramonta nell’acqua, non dove sorge, come qui. La guardo questa scia. Sotto i pantaloncini non ho il costume. Le mutande sono nere. Lo faccio? Non lo faccio? Ma sì, facciamoci ‘sto bagno. E nuoto, lungo la scia del sole, come quando ero bambino. Nuoto con vigore, la mente vola, i pensieri si accavallano, in fondo sto bene. La scia ormai si è dissolta. Il sole è troppo alto. Torno indietro. Mi sono rinfrescato abbastanza. Mi stendo sulla sabbia.

Arriva sulla spiaggia un gruppo di ragazzi. Avranno sedici diciassette anni e chiaramente non sono qui al Lido per la Mostra. Alla spicciolata entrano in acqua per farsi il bagno. Uno assomiglia al protagonista di Madre, film del regista spagnolo Rodrigo Soroyen, passato un paio di giorni fa in concorso ad Orizzonti.

Uno dei film che più mi hanno colpito finora. Una meravigliosa Marta Nieto interpreta Elena, madre separata, che in un pomeriggio d’autunno riceve una telefonata dal figlio di sei anni, in vacanza sulla costa francese col padre. Il bambino è in preda al panico, perché si crede abbandonato dal genitore nella spiaggia deserta.

Nonostante ci provi in ogni modo, Elena perde ogni contatto con il figlio Ivan, di cui non viene a saper più nulla. Dieci anni più tardi la ritroviamo praticamente a vivere su quella spiaggia, tanto simile a quella in cui mi trovo io questa mattina. È sulla spiaggia che Elena crede di vedere un ragazzo che potrebbe essere suo figlio. Con lui lentamente instaura un rapporto che diventa di giorno in giorno più importante sia per lei che per lui.

Alla vita quotidiana dei due, lei direttrice di un locale sulla spiaggia, lui studente in vacanza con la famiglia, si alternano momenti in cui i due trascorrono del tempo a parlare e a conoscersi. La macchina da presa si sofferma soprattutto sulle mani e sui visi dei due, cogliendone il respiro, le incertezze, l’ammirazione, lo stupore, l’amore innocente, il desiderio, fino alla passione di un semplice abbraccio, che porterà lei all’elaborazione definitiva della perdita del figlio mai più ritrovato, lui alla conquista di un sentimento di amore e rispetto verso una donna che potrebbe essere sua madre e che per certi versi è come se lo fosse diventata. Con la promessa di rivedersi forse un giorno a Parigi.

Un film molto piccolo negli eventi e nell’impianto, ma grandissimo per il coinvolgimento emotivo che riesce a trasmettere. Emozionante fino al pianto.

Ho le lacrime agli occhi. Guardo il sole per fermarle. O anche solo per confonderle. Respiro forte e mi alzo in piedi. Adesso la cosa più complicata è tornare dentro la Mostra. A recitare quello che parla poco non sorride e non si lascia andare mai. In realtà a cercare un semplice abbraccio.