Raccontare Stefano Benni. Un “lupo” tutto da ridere, dalla parte dei più deboli

Passato alla Festa di Roma, “La storia quasi vera di Stefano Benni. Le avventure del lupo” di Enza Negroni dedicato al popolare scrittore bolognese. Un viaggio non solo attraverso la sua ricca produzione letteraria (romanzi, racconti, poesie, pièce) ma anche nei suoi luoghi dell’anima e il suo impegno politico tra migranti e senzatetto. Con i racconti dei sui amici, in primis Daniel Pennac…

Stefano Benni e Daniel Pennac

Un prodotto decisamente di nicchia. Che non sarà facile rintracciare nei tradizionali canali di distribuzione. Ma, nel suo genere, un gioiellino per chi conosce e ammira Stefano Benni. Presentato alla Festa del cinema di Roma, s’intitola La storia quasi vera di Stefano Benni. Le avventure del lupo; dura settanta minuti, con la regia di Enza Negroni, ed è per definizione della coppia Negroni-Benni, “un documentario biografico che svela l’artista attraverso un viaggio nei suoi luoghi dell’anima, insieme ad amici, scrittori e musicisti”.

Lo vogliamo dire? Un monumento un tantinello agiografico da “piazzare” nella Piazza Grande di Bologna per degnamente celebrare i fasti di un genio locale giunto ai suoi 71 anni portati con grande noncuranza esteriore, tipica degli artisti-genio, sotto un cappellaccio di feltro dall’aria molto vissuta. Detta così suona, volutamente, di ironia. Ma a Benni tutto può mancare meno l’autoironia.

Quindici romanzi, 16 raccolte di racconti, 5 raccolte di poesie, quattro raccolte di articoli e poi scritti su molteplici argomenti; disegni; soggetti, sceneggiature e regie teatrali; film; un libretto per opera lirica; apparizioni teatrali anche come attore. Su Wikipedia, per chi fosse interessato, tutto sulla sterminata opera omnia.

Alcuni titoli dei romanzi devono essere citati, tanto per ricordare alcune perle letterarie, dal primo romanzo, Terra dell’83 fino a Prendiluna dello scorso anno, passando per Stranalandia, Elianto, Pane e tempesta, Achille piè veloce, La bottega magica. Ma forse sono più conosciuti i suoi racconti a partire da quelli del mitico Bar sport, del 1976, diventato un testo culto, nonché un modo di dire per rappresentare un mondo di provincia in gran parte perduto. E poi ancora La tribù di toro seduto, Il bar sotto il mare, Le Beatrici e tanti altri. Due raccolte di testi teatrali ormai pane quotidiano in tutte le scuole di teatro della Repubblica portano la sua firma. Chi non conosce Pinocchia, testo su cui si sono impegnate le più brave attrici italiane? Come non sorridere ripensando a monologhi come La topastra?

C’è di che ubriacarsi a seguire il fluire della fantasia sfrenata di questo autore che a getto continuo, ormai da decenni, racconta, descrive, inventa, immagina personaggi e situazioni usando stili che spaziano dal neorealismo al surreale. Arrivando perfino alla creazione di animali fantastici cui ha anche dato le sembianze di pupazzi. I suoi personaggi, i suoi modi di dire, fanno ormai parte dell’immaginario collettivo. E questo in ognuna delle discipline con cui si è misurato. Insomma, come si dice, un grande artista a tutto tondo.

Il documentario alterna intensi primi piani del Benni che si racconta, a partire del perché sia diventato scrittore dovuto, dice, al suo non poter inseguire il sogno di fare il calciatore a seguito di un grave infortunio sul campo. Un incidente benedetto, verrebbe da dire, perché lo costrinse a letto per un lungo periodo. Dove scoprì la passione per i libri. Prima come lettore, per finire poi a maturare la decisione di provare a diventarne autore. Struggenti le immagini dei suoi boschi e campi, (l’Appennino tosco emiliano), ma intriganti anche quelle di Bologna, Napoli, dei vari teatri calcati in giro per l’Italia. Decisive per comprendere la persona e il personaggio Benni infine, le molte testimonianze degli amici di vita e di lavoro di un uomo conosciuto anche col soprannome di “lupo”.

Cominciamo da questo nome. Resta un po’ misteriosa l’origine, pare però dovuto a incontri non bellicosi con questi animali nei primi 14 anni vissuti in Appennino, col nonno contadino. In ogni caso se ne è appropriato per farsene immagine identitaria. Un lupo selvatico ma mansueto e perfino benefico. Sì, perché nei 70 minuti che scorrono senza cadute di ritmo grazie anche a un montaggio veloce ma non frenetico, si svela anche il secondo volto di Stefano Benni: quello politico.

Benni è un artista che si schiera, che sa bene da che parte stare e non ne fa mistero come tanti intellettuali cerchiobottisti se non addirittura banderuole. Lui è di sinistra, scrive su giornali di sinistra (quando c’erano almeno), difende, promuove, sostiene politiche “di sinistra”. Ma con poche chiacchere autoreferenziali.

Lui a chi vuole schierarsi a sinistra nella vita indica una possibile azione: fare gesti concreti, anche piccoli ma concreti. Lui ad esempio ha promosso – e sostiene anche finanziariamente – una associazione non a caso intitolata al suo “lupo”, che riesce a sfamare ogni giorno, nella sua ricca e opulenta Bologna, decine e decine di senzatetto, grazie al lavoro instancabile di immigrati di colore ormai integrati e diventati suoi amici. E partecipando a molte iniziative dei e per i poveri, degli ultimi, della gente che lotta per mangiare anche la quarta settimana.

Benni sembra proprio trovarsi a suo agio ovunque, in qualunque situazione. Sta bene con gli immigrati, coi ragazzi di una scuola di musica nella Napoli popolare e disagiata come con musicisti professionisti (compreso il figlio partecipe delle imprese paterne), con i disegnatori e i grafici, con gli attori-amici tipo Angela Finocchiaro, con colleghi di gran lustro come Baricco e Daniel Pennac che, rivela il documentario per bocca dello stesso Pennac, deve il suo successo in Italia proprio grazie allo stesso Benni che ne caldeggiò presso Feltrinelli la traduzione italiana della sua opera prima, La fata carabina.

In una sola occasione appare a disagio, quasi fuori posto: quando deve indossare un formale frac, senza le scarpe giuste, portato sbrendolo e senza classe, che nemmeno fosse messo a forza dentro la vergine di Norimberga. Ma di figurini che stanno bene in frac ce ne stanno molti. Di Benni ce n’è uno solo.