Ricordando Marco Leto, protagonista (dimenticato) del cinema militante

Sarà Cecilia Mangini, tra gli altri, a ricordare il regista e scrittore romano recentemente scomparso, nell’ambito dell’omaggio che si svolgerà il 10 maggio alla Casa del cinema di Roma (ore 16). Un’occasione rara per (ri)vedere “La villeggiatura” e “I vecchi e i giovani” da Pirandello e scoprire e riscoprire un grande autore dimenticato…

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Quando Marco Leto se n’è andato, ad 85 anni, lo scorso 21 aprile 2016, i media non se ne sono neanche accorti. Un paio di “brevi” su un paio di quotidiani, qualche nota di rammarico in rete ma nulla più. A conferma dell’oblio che domina questo Paese e contro il quale il suo cinema, politico, si è sempre battuto, cercando di svegliare le coscienze, di sollecitare la memoria, rivisitando soprattutto gli anni bui del fascismo.

Nato a Roma nel 1931, Marco Leto comincia il suo apprendistato nel cinema, negli anni Cinquanta, come assistente di molti registi, tra cui Franco Rossi (Il seduttore), Mario Monicelli (Un eroe dei nostri tempi), Florestano Vancini (La lunga notte del ’43). Nei Sessanta approda alla televisione dove lavora per molti anni firmando servizi e inchieste giornalistiche ma anche sceneggiati di successo: Il caso Lafarge (1973), Philo Vance (1974), Rosso veneziano (1976), I vecchi e i giovani (1979) da Pirandello e Quaderno proibito (1980) dal romanzo di Alba de Céspedes, oltre ai film per la tv La resa dei conti. Dal gran consiglio al processo di Verona (1969), Donnarumma all’assalto (1972) e Una donna spezzata (1988) da Simone de Beauvoir.

Al cinema il nome di Marco Leto comincia ad emergere nel ’65  con Fuga da Lipari, ricostruzione documentaristica della fuga dal confino di Lipari degli antifascisti Emilio Lussu, Francesco Nitti e Carlo Rosselli, scappati a nuoto nel luglio 1929 per raggiungere un motoscafo guidato da Gioacchino Dolci che li porterà fino in Tunisia e da lì a Parigi. Un tema, quello dell’antifascismo, che riprenderà nel ’73 col suo film d’esordio, La villeggiatura presentato a Cannes e vincitore di un Nastro d’argento come migliore opera prima. Sceneggiato insieme a Lino Del Fra e Cecilia Mangini (della quale potete leggere qui il ricordo) è considerato uno dei film politici più importanti degli anni Settanta, per la sua acuta analisi del fascismo a partire dalla presa di coscienza di un giovane intellettuale confinato a Ventotene che, a contatto, con i proletari comunisti, scoprirà il marxismo e l’impegno politico. Memorabile Adolfo Celi nei panni del commissario di polizia che incarna il fascismo in “camicia bianca”.

Del ’76 è Al piacere di rivederla, opera seconda per il cinema, adattamento di Ritratto di provincia in rosso, romanzo di Paolo Levi, in cui attraverso le indagini sul presunto suicidio di un notabile si svelano vizi e corruzione di una pacifica cittadina della provincia emiliana. Prodotto da Giuseppe Ferrara per Raitre (altro grande nome dimenticato del cinema d’impegno civile), nell’88, è poi L’uscita dedicato al tema del terrorismo (mai mandato in onda), come il successivo A proposito di quella strana ragazza.

Marco Leto, per più di vent’anni è stato anche direttore di doppiaggio e sceneggiatore di western (Una pistola per cento bare di Umberto Lenzi; I morti non si contano di Rafael Romero Marchent), commedie e drammi di costume (Un eroe del nostro tempo di Sergio Capogna; Violenza segreta di Giorgio Moser curiosa pellicola antirazzista; Cari genitori di Enrico Maria Salerno). Tra i lavori incompiuti, resta Rubè, film sul fascismo che Marco Leto ha provato a realizzare per oltre dieci anni.

L’incontro alla Casa del cinema, dunque, è un doveroso omaggio ad un grande autore colpevolmente dimenticato.