Romani contro Cimbri: le terre selvagge di Sebastiano Vassalli

terreselvagge_2

“Terre selvagge”: il titolo ricorda uno dei capolavori western di John Ford ma, ovviamente, l’ultimo libro di Sebastiano Vassalli non ha nulla a che vedere né con “Sentieri selvaggi” né con John Wayne, a parte quell’aggettivo quasi nostalgico che rinvia a tempi o luoghi avventurosi. Più consono è il riferimento a un film dai contenuti abbastanza simili, almeno nella parte iniziale, “Il tramonto dell’Impero romano”, con una Sofia Loren intensa e dolente. Ma anche qui le somiglianze sono abbastanza vaghe, non tanto per i tempi diversi in cui si svolge la vicenda, quanto per gli opposti esiti del conflitto rappresentato. E tuttavia, soprattutto per gli appassionati del peplo ma non solo, il romanzo di Vassalli è un plot ideale per un possibile grande affresco storico e spettacolare.

Al centro degli avvenimenti, successivi e conseguenti all’invasione del Nord Italia da parte di un popolo proveniente originariamente dallo Jutland (l’attuale Danimarca), che nel suo peregrinare aveva messo a ferro e a fuoco mezza Europa, si colloca un momento storico pressoché dimenticato ma decisivo per gli assetti futuri d’Europa: la battaglia dei Campi Raudii (“selvaggi” appunto) tra Cimbri e Romani nel 101 a. C. (Vassalli ricorda ripetutamente che ci troviamo nell’anno seicentocinquantadue dalla fondazione di Roma). La battaglia si svolse nella pianura padana, tra Vercelli e Novara, luogo di elezione e oggetto di continua ricerca storica da parte di Vassalli, e non a sud del lago di Garda, nei pressi di Verona, come sottolinea lo stesso scrittore correggendo il falso storico tramandato da Plutarco, il quale si rifaceva alle memorie – interessate – di Silla. Allora quel territorio era abitato dai Celti, che i Romani chiamavano “Galli”, popolo fondamentalmente pacifico messo in fuga o schiavizzato dai Cimbri. Ai Campi Raudii si fronteggiarono i due eserciti più grandi del continente, e la battaglia si risolse con una vittoria schiacciante dei Romani. Su 200 mila Cimbri se ne salvarono solo 60 mila, che furono portati poi come schiavi a Roma.

Il libro di Vassalli si sofferma su alcuni personaggi memorabili, veri e verosimili. A partire, sul versante romano, dal console Lutazio Catulo, dal luogotenente di questi, Lucio Cornelio Silla, e soprattutto dall’altro console Caio Mario, l’uomo nuovo della politica, vero deus ex machina e fautore della riscossa di Roma. Dall’altra parte, invece, figurano personaggi come Agilo “l’Orso”, capo rispettato e assennato, e Boiorige, il suo genero focoso e violento. Non mancano contrasti all’interno di entrambi gli schieramenti, e neppure fanno difetto momenti umoristici. Esilarante, pur nella drammaticità del momento, è la scena dell’incontro tra i vertici delle due formazioni per concordare un’eventuale ma impossibile intesa ed evitare la battaglia, a patto che i Romani si ritirino, come pretendono gli invasori. Quando i Cimbri, finora mai sconfitti, intonano una sorta di concerto a base di flatulenze per esternare il loro disprezzo nei confronti dei Romani, Caio Mario, fattosi finalmente riconoscere, chiama l’interprete e gli comanda di tradurre il suo messaggio: “Digli che le loro parole per me non significano niente. Le ho ascoltate, e non mi sono sembrate più interessanti delle loro scoregge. La sovranità su questa pianura appartiene a Roma e i Cimbri non dovevano venirci… Ora ci sono e ci rimarranno… in un campo di battaglia pieno dei loro cadaveri”.

L’altro filone del racconto, più privato e “romantico”, si svolge attorno alle figure del fabbro di Proh, il celtico Tasgezio rimasto solo con la vecchia madre dopo che gli altri abitanti del villaggio sono scappati verso le montagne terrorizzati dall’avanzata dei “diavoli”, e della figlia di Agilo, Sigrun, una “strana” ragazza. Ma hanno un senso anche le figure minori. È il caso dei “giocolieri etruschi”, con il personaggio femminile che sembra ispirato – quasi uno stereotipo – dalla “Strada” di Fellini, con Gelsomina nella parte che fu di Giulietta Masina. Il tutto rappresentato in un contesto disseminato di rimandi al presente, anche ironici e giocosi, con afflato didascalico e un’intonazione a volte fiabesca. Il film potrebbe iniziare con un giovane/una giovane di oggi estasiati di fronte alla tela del Tiepolo “La battaglia di Vercelli”, esposta al Metropolitan Museum of Modern Art di New York…

Roberto Goldin