Se è il lavoro l’opera d’arte. Storia di Gabriele, artista operaio in un doc
“Di acqua, di fuoco e quello che resta”, il documentario di Matteo Ninni presentato al Working Title Film Festival di Vicenza. Nella Val Vigezzo scopriamo la quotidianità di Gabriele Cantadore: edile e artista che realizza le sue opere sfruttando strumenti di lavoro e oggetti abbandonati. Perché lavoro e arte non sono disgiunti, ma possono essere intimamente intrecciati…
Un bosco. La ripresa di una transumanza di bovini. Il mercato degli animali. Siamo nella Val Vigezzo, in Piemonte: qui è girato Di acqua, di fuoco e quello che resta di Matteo Ninni, presentato in anteprima mercoledì 2 ottobre al Working Title Film Festival di Vicenza. Il film vede protagonista Gabriele Cantadore: operaio edile e insieme pittore, che compone le sue opere utilizzando strumenti del lavoro quotidiano e oggetti trovati nelle vecchie baite in disuso.
“Un mediometraggio documentario di osservazione”, lo ha definito la direttrice artistica Marina Resta in una nostra intervista: ed è così, perché nel corso di 34 minuti il racconto parte dalla natura e gradualmente arriva all’uomo, il protagonista, registrando la sua quotidianità in dialetto vigezzino. Matteo Ninni è un cineasta indipendente classe 1972, esperto in cinema documentario: proprio attraverso la contemplazione di ciò che si trova davanti alla macchina da presa fa emergere i suoi temi.
I nodi in filigrana sono molti: certamente c’è uno scenario in profondo cambiamento, perché ieri – in un passato non remoto – l’allevamento dei bovini era la principale fonte di sussistenza per gli abitanti del luogo, ma oggi la mostra degli animali è diventata una tappa per turisti e bambini. Ecco “quello che resta”, già iscritto nel titolo: la resistenza di un modo di vivere, una maniera di stare al mondo ormai mutata, di cui si rinvengono tracce sparse nella natura. Non a caso: i bovini all’inizio non sono un grande pascolo, ma una piccola transumanza.
L’acqua e il fuoco riguardano invece Cantadore: nel suo laboratorio realizza un’opera, non gli piace e la scaglia via. Poi lo vediamo simbolicamente nudo a terra nell’atelier. L’uomo costruisce sagome di animali con materiale edilizio, converte gli attrezzi del mestiere alle necessità dell’arte: graffia la materia, la intarsia fino a raggiungere la sagoma scelta.
È così che il lavoro acquista una doppia forma: da una parte l’impegno giornaliero dell’edile, dall’altra il gesto del pittore. Manovrando gli stessi materiali per entrambi i ruoli, egli dimostra che lavoro e arte non sono separati: si possono intrecciare l’uno nell’altra.
Ricorda, in piccolo, il poeta operaio Luigi Di Ruscio che proprio nei versi tematizzava il suo essere metalmeccanico (per esempio nel capolavoro Poesie operaie, Ediesse). Di acqua, di fuoco e quello che resta si muove sullo stesso terreno, prende la stessa posizione: lo dimostra lo squarcio finale dedicato alla creazione di un’opera, la prova che dalla transumanza si genera la scintilla espressiva.
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