Stephen Frears, le relazioni pericolose della Brexit e il nuovo film sulla tolleranza. A Venezia

Al regista inglese, Stephen Frears, il premio Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker 2017 della Mostra 74, dove sarà presentato “Victoria & Abdul”, il suo nuovo film tratto dal romanzo dedicato alla storia vera dell’incontro tra la regina Vittoria e il suo speciale consigliere spirituale indiano “su cui sicuramente Trump avrebbe da ridire”. Di seguito l’intervista fatta allo scorso Festival del Cinema europeo di Lecce dove mette in guardia sulla “catastrofe Brexit”…

 

“Quello che sta accadendo in Gran Bretagna è una catastrofe. La Brexit è una catastrofe. Oggi sono venuto qui da Londra tranquillamente, ma tra poco non sarà più così. A me piace essere europeo”.

Stephen Frears strappa subito l’applauso di fronte alla stampa, numerosa, che lo accoglie nel giorno di chiusura del festival del Cinema europeo di Lecce (dal 3 all’8 aprile), che al regista inglese ha dedicato una ricca retrospetiva e consegnato l’Ulivo doro.

“La Gran Bretagna – prosegue – è un paese multietnico, lo è diventato naturalmente senza che nessuno facesse un referendum. Ora invece con la Brexit si tenta di cancellare tutto questo. E chissà se il cinema sarà capace di raccontarlo. Certamente non oggi perché davvero nessuno di noi sa dove ci porterà tutto questo”.

Lui, del resto, che del multiculturalismo è stato uno dei primi cantori, non smette di raccontare storie rivolte a far fronte alle derive intergraliste e razziste dei nostri giorni. È il caso di Victoria and Abdul, il nuovo film che ha appena finito di girare – è in fase di post produzione e “magari andrà a Venezia”, dice sorridendo – ispirato alla storia vera raccontata nel romanzo storico Victoria And Abdul: The True Story Of The Queens’ Closest Confidant, della scrittrice indiana Shrabani Basu.

“Siamo sempre stati abituati a vedere la regina Vittoria al fianco di uomini singolari, compreso il marito Alberto. Ma questo lo è ancora di più essendo un maggiordomo indiano su cui sicuramente Trump avrebbe da ridire”, scherza il regista inglese.

Abdul, come racconta il romanzo, arrivato a corte da Agra, India, poco a poco, assumerà un ruolo sempre più importante come consigliere della regina, scatenando il disappunto della famiglia reale e non solo. “Del resto – aggiunge Stephen Frears – se metti insieme una donna cristiana e un uomo mussulmano è sicuro che ci saranno guai in vista”. Nei panni della regina Vittoria è Judi Dench (che li ha già indossati con successo per John Madden) e in quelli di Abdul, l’attore di origini indiane Ali Fazal.

Ci tiene Stephen Frears a ribadire che nel suo film parla di “tolleranza”, soprattutto di fronte ai drammatici attentati di questi giorni che stanno insanguinando le strade d’Europa. Del resto la tolleranza il regista inglese l’ha “praticata” fin dagli esordi. Nella  “gavetta” con i grandi padri del Free cinema (Lindsay Anderson e Karel Reisz) e poi, e soprattutto, col fortunato incontro con Hanif Kureishi, lo scrittore di origini pakistane, oggi vera star della letteratura internazionale, col quale firmò nell’85 My Beautiful Laundrette (e in seguito Sammy e Rose vanno a letto), film manifesto del cinema multiculturale, di cui Frears raccontò tra i primissimi, coi toni della commedia amara, tabù e incomprensioni – omosessualità compresa – della Gran Bretagna degli Ottanta, quella delle durissime politiche liberiste della Thatcher, ai danni delle categorie sociali più deboli. Di cui il regista inglese si è interessato a più riprese (tra gli ultimi Piccoli affari sporchi), anche se per questo, dice, “non mi definirei impegnato politicamente”, tanto più se la “pietra di paragone”, come viene spontaneo trattandosi di cinema inglese, è Ken Loach.

Parla di letteratura, poi, Stephen Frears che nel suo cinema ha sempre frequantato parecchio (c’è pure Nick Hornby con Alta fedeltà). Delle Relazioni pericolose, soprattutto, che nel’89 l’hanno portato a lavorare per la prima volta negli States, regalandogli il vero grande successo internazionale con tre Oscar, tra cui meritatissimo, quello per l’adattamento dello “scandaloso romanzo” settecentesco di Choderlos de Laclos, a cui – nello stesso anno, ma senza eguagliarne il successo –  si è ispirato anche Milos Forman col suo suo Valmont.

Del recente The Program – anch’esso tratto da un libro – dedicato a Lance Armstrong, il ciclista texano coinvolto nel più grande scandalo di doping, il regista inglese parla, di “dispiacere” per l’esito poco positivo, sia di critica che di incassi. Cose che capitano in una lunga carriera come la sua. Ma quello che davvero lo allarma, adesso – e conclude – sono gli scenari legati alla Brexit: “Negli ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti in tutta Europa in difesa dei diritti, e penso anche a quelli degli omosessuali, delle minoranze, in un clima in cui si sono sviluppate relazioni di maggiore tolleranza. Tutto questo ora è di nuovo a rischio”. E queste sì sono relazioni davvero pericolose.