Viaggio nell’Italia con l’Alzheimer. “PerdutaMente” il sogno possibile della cura che si chiama affettività
Uscita evento per San Valentino il 14, 15, 16 febbraio (per Luce Cinecittà) “PerdutaMente” di Paolo Ruffini in coregia con Ivana De Biase. Un viaggio in Italia per raccontarci storie di vittime di Alzheimer e delle loro famiglie, seconde vittime della malattia inspiegabile. Eppure unica cura per un male che non ha cura. Se non il linguaggio dell’affettività che per ascoltarlo occorre avvicinarsi fino a toccarsi …
Nasce come una serie d’interviste PerdutaMente, e sin dalle prime battute s’intuisce una partecipazione affettuosa e uno sguardo attento e rispettoso nei confronti di una malattia inspiegabile.
Paolo Ruffini, autore, volto popolare di cinema e tv qui in coregia con Ivana De Biase, intraprende così un viaggio in Italia per raccontarci storie di vittime di Alzheimer, interrogandosi su una malattia in progressivo aumento, che stravolge dolorosamente la vita della vittima e dell’intera famiglia soprattutto per la perdita della memoria di sé e dei propri cari. Si chiede come il familiare coinvolto, la seconda vittima, riesca a farsi carico di un peso così invasivo.
Individua però un elemento di cura fondamentale nella presenza dei familiari, che ritarda gli effetti progressivi del male.
Se la cura è nell’affettività, le strutture sanitarie che seguono le leggi dell’organizzazione produttiva non appaiono adeguate al bisogno.
Il film non si occupa però delle difficoltà sociali, le carenze sanitarie o le situazioni di solitudine affettiva, che pure ci sono. Ma vuole capire come la perdita della memoria, di se stessi e della propria storia possa essere vissuta e in quale modo condivisa.
Gli incontri di Ruffini sono molti e diversi ma tutti illuminati dal racconto degli scambi emotivi o di chi si prende cura o del regista stesso, spesso attraverso il linguaggio del corpo. Perché chi soffre di questa malattia soffre certamente di una perdita della memoria, ma contemporaneamente viva rimane la capacità emotiva, anche se non direzionata.
È il corpo che parla il linguaggio dell’affettività e ci si rende conto che per ascoltarlo occorre avvicinarsi fino a toccarsi.
A chi si prende cura non resta che attingere alle proprie energie emotive messe in difficoltà dal progressivo dis-riconoscimento della propria identità affettiva.
Occorre, dirà il regista, essere una quercia. Così il curante diviene un po’ medico, cerca di capire, studia e infine è necessario che accetti di vivere la malattia insieme al congiunto.
Lo spettatore viene all’inizio sconvolto e poi coinvolto da un bravo Paolo Ruffini, che accompagna i racconti e gli incontri senza concessioni e sbavature. Uno dei pregi maggiori sta nell’aver mostrato l’unicità della personalità di ciascun intervistato, anche se nella malattia.
E così si procede nella ricerca di un dialogo possibile. Emerge quanto sia utile allo scopo il contatto e il calore dei corpi, in assenza di parola, e l’abbandono del tempo lineare. Ecco come un legame primitivo diviene dialogo. Possiamo capire a quale livello di precocità ciò spesso avvenga, pensando alla relazione della madre col neonato, tenendo presente che con le malattie neurodegenerative per ora non si procede e si costruisce solo nel “qui e ora”.
E questa mi sembra un’evidenza del testo filmico interessante. Comporterebbe anche qualche riflessione sui tempi che viviamo in cui il corpo, primo elemento di contatto emotivo, apparentemente sempre più al centro della scena, si avvia a divenire meccanico, e il dialogo, supposto globale, viaggia senza vivificanti contatti emotivi.
Forse anche in ciò possiamo trovare una delle origini possibili dell’aumento di malattie neurodegenerative. Ma questo è un discorso altro. Paolo Ruffini ha il pregio di averlo portato all’attenzione del pubblico.
Il film merita di far conoscere il più diffusamente possibile una realtà spesso coperta dalla vergogna. Quello del regista appare un sogno avvincente e possibile che richiede solamente di avere un fortissimo credo radicato in noi: credere nell’umano destino orientato al legame con l’Altro.
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