C’è ancora salvezza (dopo il dolore). Luca Zingaretti ora è (anche) regista col romanzo di Daniele Mencarelli

Passato alla Festa di Roma “La casa degli sguardi”, esordio alla regia di Luca Zingaretti. A partire dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli (lo stesso di Tutto chiede salvezza). La storia di un ragazzo di periferia, del suo male oscuro che lo precipita nell’alcool e lo allontana da tutti. Ma anche una storia di un salvataggio dove anche il lavoro contribuisce. Convincente la prova di Gianmarco Franchini nei panni del protagonista …

 

Si entra subito nel mondo di Daniele Mencarelli, che non solo ha scritto l’omonimo libro (Mondadori 2018) da cui è tratto l’esordio ala regia di Luca Zingaretti, La casa degli sguardi  (produzione Bibi Film, Clemart, Stand by me, Rai Cinema, con il contributo del ministero della Cultura), ma ha anche contribuito a scrivere la sceneggiatura assieme a Gloria Malatesta, Stefano Rulli e allo stesso Zingaretti.

L’atmosfera, infatti, è quella della fortunata serie televisiva Tutto chiede salvezza, dove, come qui, s’indagava sul malessere giovanile. Nella serie puntando l’attenzione sul disagio mentale e i servizi psichiatrici, nel film di Zingaretti indagando piuttosto il tema della dipendenza alcolica e della rabbia esistenziale che caratterizza una certa gioventù della periferia romana. Il tutto raccontato con grande partecipazione emotiva, sfiorando a volte il sentimentale ma senza cadere mai nel patetico, grazie anche a un’ironia che interviene a stemperare le scene più lacrimose.

Marco, Marcolino come viene chiamato affettuosamente dagli amici e dal padre (Luca Zingaretti che smette i panni di Montalbano per indossare abbastanza credibilmente quelli di un tranviere dell’Atac), è un giovane aspirante poeta con il vizio di bere, che non ha mai superato il dolore dovuto alla perdita della madre e che improvvisamente si trova a fare i conti con un lavoro ottenuto per “raccomandazione” del padre.

Si tratta di fare le pulizie come dipendente di una cooperativa, che però opera nel luogo meno adatto a un animo provato e sensibile come il suo, l’ospedale Bambino Gesù di Roma dove il dolore e la morte sono presenti ogni giorno. Marcolino sembra superare la prova, grazie anche alla solidarietà dei colleghi di lavoro e, forse, a un potenziale rapporto d’amore germogliato davanti a un cesso da ripulire e poi consumato nel tempo libero dal lavoro. Salvo il prevedibile rischio di ricadute.

Bella la scena finale nel tram n.19 che attraversa mezza Roma prima di fermarsi in una livida Valle Giulia alle prime luci dell’alba. Convincente la prova di Gianmarco Franchini nei panni di Marcolino. Ma chi gli ruba davvero la scena è Federico Tocci, suo collega di lavoro capace di unire cinismo e ironia tipicamente romani con un cuore grande così.