Quello che resta dopo la guerra. Le cicatrici (da Nobel) delle donne di Leningrado

In sala (per Movies Inspired) “La ragazza in autunno” opera seconda dell’enfant prodige del cinema russo, Kantemir Balagov. Ispirato al libro della scrittrice premio Nobel, Svjatlana Aleksievič (“La guerra non ha il volto di donna”), il film è una potente riflessione sulle cicatrici della guerra, soprattutto quelle imposte all’universo femminile …

Dylda, titolo originale del film del giovane talentuoso Kantemir Balagov, è un doloroso dramma esistenziale sulle macerie della guerra. Dylda vuol dire “spilungona” (la protagonista), ma anche “goffaggine” ed è l’elemento costante di tutto il film che pervade ogni personaggio e ogni azione.

La sceneggiatura è firmata dallo stesso regista, che ha preso ispirazione dal libro dell’85, La guerra non ha il volto di donna della srittrice premio Nobel, Svjatlana Aleksievič. Nell’ultima Guerra Mondiale un milione di donne e ragazze sovietiche, anche molto giovani, sono andate a integrare gli effettivi: infermiere, radiotelegrafiste, cuciniere e lavandaie, ma anche soldati di fanteria, addette alla contraerea e carriste, genieri sminatori, aviatrici, tiratrici scelte. L’elemento che Balagov fa suo del romanzo riguarda il grande contributo offerto dalle donne al conflitto e come la guerra “femminile” sia stata anche più carica di sofferenza di quella “maschile”. Per colei che dona la vita dispensare la morte non può mai essere facile.

Siamo in Russia nell’autunno del 1945, il primo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Leningrado è una città stremata dal lungo e alienante assedio tedesco durato due anni e mezzo. I Russi hanno vinto, ma a caro prezzo. Nell’ospedale militare si curano i reduci, alcuni con ferite più leggere, altri molto gravi.

L’infermiera Iya (interpretata dall’esordiente Viktorija Mirošničenko) è una ragazza molto alta, chiamata per questo “Giraffa”, che collabora con il dottor Ivanovic (Andrey Bykov) nella cura dei malati, nonostante le sue crisi epilettiche.Vive con Pashka, un bambino di due anni che tutti credono sia suo figlio, ma è figlio della sua amica Masha (l’esordiente Vasilisa Perelygina), ausiliare in guerra.

Quando Masha torna dal fronte, il piccolo Pashka non c’è più. Un incidente causato da Iya o una morte premeditata per non restituirlo alla legittima madre?

Nel film non c’è la risposta, ma è narrata invece la reazione di Masha che vuole compensare con un nuovo figlio. Dice a Iya: «Voglio una vita dentro di me, qualcosa a cui aggrapparmi», convinta che un figlio la possa guarire. Purtroppo scoprirà di non poterne più avere e chiederà all’amica di farsi madre al suo posto, quasi a risarcimento del suo bambino morto.

La fotografia della venticinquenne Kseniya Sereda, tinteggia tutta la pellicola nei toni dell’ocra, del rosso e del verde. C’è un ossimoro tra l’esteriorità brillante, narrata con uno sguardo pittorico a colori saturi e caldi, e l’interiorità, fredda, distaccata, egocentrica. Un’altra notevole contrapposizione la si ritrova proprio nell’accoppiata delle due protagoniste: tanto una è alta, bionda e sgraziata, quanto l’altra è piccola, sensuale e disinvolta.

La guerra ha contato più di venti milioni di morti in Russia, ma le devastazioni e le macerie non si trovano solo fuori. Sono rimaste dentro ferite aperte da cui si cerca di guarire con fatica. E sono proprio le conseguenze della guerra, in un potente racconto per immagini, a essere le vere protagoniste. Suggestive sono le immagini dei reduci feriti o mutilati, ospiti dell’ospedale attraverso cui Balagov affronta i temi dei veterani e della guerra che sopravvive nelle menti dei sopravvissuti, smontando ogni retorica dell’eroismo e mostrando le conseguenze, anche psicologiche, degli orrori della guerra.

Nel film è mostrato sia chi non avrà il coraggio di ritornare e affrontare la realtà del “dopo” sia chi, come le due donne, troverà invece la forza di andare avanti nella compassione e nella solidarietà.

La ragazza in autunno è girato quasi completamente negli interni, squallidi e poveri, con gesti quotidiani esasperati, ed esasperanti, in una lentezza maggiore perfino dei tempi reali.

Nel suo secondo lungometraggio, dopo Tesnota (Closeness il titolo internazionale) Bagalov, enfant prodige del cinema russo e già allievo di Aleksandr Nikolaevič Sokurov, mostra una grande maturità tecnica ed espressiva. Rappresenta persone e rapporti affettivi con una visione parossistica, proiettando al passato tematiche di grande attualità come l’eutanasia, la maternità surrogata e l’omosessualità.

Premiato a Cannes nella sezione un Certain Regard, La ragazza in autonno è già passato al Festival di New York e candidato per la Russia all’Oscar.