Crescere con la mafia in casa
Unico titolo italiano di Alice nella città, “Il bambino di vetro” di Federico Cruciani, racconta la perdita dell’innnocenza di un ragazzino palermitano con padre affiliato alle cosche. Tratto dal romanzo “Il figlio di vetro” di Giacomo Cacciatore…
In una Palermo livida e marginale, Giovanni, dieci anni, divide le sue giornate tra la scuola e i giri pomeridiani per consegnare il pesce assieme al padre. Vincenzo, il genitore, interpretato da Paolo Briguglia – I cento passi, Buongiorno, notte, Basilicata Coast to Coast – , lavora di notte al mercato ittico, ma dietro ai suoi traffici legali nasconde una realtà ben più complicata e spaventosa. Una realtà di quelle ancora apparentemente lontane dagli occhi di un bambino, ma non abbastanza per non arrivare a coinvolgerlo.
Il bambino di vetro, debutto al cinema di Federico Cruciani, navigato regista teatrale, liberamente ispirato al romanzo Il figlio di vetro di Giacomo Cacciatore (Einaudi) è l’ unico titolo italiano in concorso ad Alice nella città, la sezione parallela della Festa del Cinema di Roma, dedicata ai più giovani. Sullo sguardo del giovane protagonista, a cui dà il volto un bravissimo Vincenzo Ragusa, infatti, è incentrato il film.
Uno sguardo ancora innocente, capace di sorprendersi per la scoperta di una tana di topi vicino alla scuola, ma anche di indurirsi quando comincia a capire cosa si celi realmente dietro al lavoro del padre. Le consegne del pesce di Vincenzo sono infatti una copertura per il traffico di droga di una cosca locale. Ma dalla droga agli omicidi il passo è breve, e gli occhi di Giovanni perdono sempre più quella spontaneità e limpidezza da bambino, per assumere i tratti più duri di chi è costretto a crescere troppo in fretta.
“Il cuore della storia è stato l’incontro con un ragazzino che vive nelle zone border line di Palermo – racconta il regista Cruciani –. La prima volta che l’ho visto si confrontava con un uomo adulto mettendosi sullo stesso piano. Vincenzo Ragusa è uno di quei bambini che trattengono ancora l’innocenza della loro età ma che rendono già visibile la precoce maturazione. Per me, una folgorazione. Il racconto si sviluppa attraverso il suo sguardo”. Da un lato i commerci loschi del padre, dall’altro le crisi della madre, schiacciata sempre più dal peso dei segreti, mentre Giovanni si ritrova a crescere in totale solitudine.
Recitato in stretto dialetto palermitano, aspro come quel microcosmo in cui sono inseriti i protagonisti, Il bambino di vetro è un film ruvido, ben girato, ma coraggioso più nell’idea che nello svolgimento. Il lavoro di Cruciani sembra rimanere fin troppo bilanciato su quella scala di grigio che caratterizza la quotidianità di una vita marginale ma che non ha il coraggio di diventare mai nero o bianco. Ai silenzi e i tempi morti della solitudine, ben dosati e più validi di tante parole, si alterna quasi un eccessivo timore nel voler penetrare in quest’atmosfera di violenza e sopraffazione, che porta la mafia dentro casa, che dagli adulti si trasmette ai bambini che giocano a fare i gangster. Magari, osando di più, la narrazione avrebbe toccato punte di maggiore profondità.
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