Dilili, piccola anarchica nella Parigi Belle Époque. La poesia civile di Michel Ocelot, in sala

In sala dal 24 aprile (per Bim), “Dilili a Parigi”, nuovo lavoro del maestro dell’animazione francese Michel Ocelot, presentato a Cartoons on the Bay. Una favola civile contro ogni integralismo e discriminazione nei confronti delle donne, attraverso la storia di una bimba canaca nella Parigi della Belle Époque sulle orme di Louise Michel, anarchica e libertaria, deportata proprio in Nuova Caledonia dopo la sua partecipazione alla Comune del 1870. “Nessuna ricostruzione nostalgica però – dice il regista parlando di Parigi – e molta fantasia, perché questa civiltà è ancora integra”…

Il mondo salvato dalla bellezza? Magari anche dai ragazzini? Forse non accadrà ma un film come Dilili a Parigi (nelle sale dal 24 aprile, distribuito da Bim) ce lo fa credere. Ne è convinto anche il suo autore, il regista Michel Ocelot che torna con il suo nuovo lungometraggio animato, dopo Kiriku e la strega Karaba, Principi e Principesse, Azur e Asmar. E lo è al punto che – intervistato a Torino, durante Cartoons on the Bay, in occasione dell’anteprima del film – si è sbilanciato affermando che la civiltà occidentale – e segnatamente gli anni della Belle Époque – è il miglior antidoto» alla violenza e alle brutture del mondo.

È una ragazzina la piccola Dilili, una canaca meticcia della Nuova Caledonia, sbarcata da un bastimento nella Parigi tra Ottocento e Novecento, quando andavano di moda le «esposizioni etniche», ovvero quegli zoo umani in cui si mostravano popoli esotici in una sorta di diorama che ricreava i loro ambienti d’origine e di vita (Africa, Americhe e altre lontane plaghe), esempi viventi di un darwinismo sociale, pericolosamente tangente al razzismo.

Ma la protagonista del film di Ocelot, a Parigi, ci arriva sulle orme della sua maestra Louise Michel, anarchica e libertaria, deportata proprio in Nuova Caledonia dopo la sua partecipazione alla Comune del 1870, e diventata un’eroina del popolo canaco di cui sostenne rivendicazioni e rivolte.

Giunta al seguito della sua mentore nel frattempo tornata libera in Francia, Dilili scappa dal «serraglio» che fa mostra della sua tribù, grazie al giovanissimo Orel, un fattorino che la scarrozza sulla sua tricicletta in giro per la capitale. Potrebbe sembrare un giro turistico un sightseeing d’antan, tra l’Opera e la Tour Eiffel, tra Montmartre e Notre Dame (ancora con la sua bella guglia, crollata nel rogo del 15 aprile scorso, proprio mentre Ocelot girava l’Italia per presentare la sua opera).

E invece diventa, per Dilili, una sorta di rito d’iniziazione alla cultura francese ed europea, complice un’avventura giallo-noir scatenata dalla setta dei Maschi Maestri. Che rapiscono bambine e fanciulle, colpevoli dei primi timidi passi nell’emancipazione femminile di quegli anni, per rieducarle alla sottimissione, coperte da un drappo nero e costrette a camminare a quattro zampe cavalcate da maschi che portano un anello al naso. Potrebbe sembrare una metafora fin troppo facile di un certo integralismo che assedia oggi l’Occidente. Ma piuttosto allude alla perdurante, subalterna condizione femminile e ai dati statistici che – commenta Michel Ocelot – testimoniano che «il numero di donne uccise solo perché sono donne supera le vittime delle guerre».

Sarà Dilili, dunque, rimproverata dai canachi di avere la pelle troppo chiara e dagli europei di averla troppo scura, a guidare le malcapitate alla libertà e al futuro riscatto civile. Inebriata com’è dall’incontro con le bellezze della città, gli intelletti e gli spiriti artistici, letterari e scientifici che la abitano e ne animo l’epoca (alla fine del film scorrono oltre cento nomi celebri di personalità che fanno da comparse disegnate nel film: da Picasso a Lautrec, Renoir, Monet, Degas, Proust, Debussy e a donne come Camille Claudel, Sarah Bernhardt, Gertrude Stein, Colette, Marie Curie…).

La volitiva ragazzina (a chi la provoca con un sarcastico «ma chi ti ci ha portato a Parigi?» risponde orgogliosamente «io mi porto da sola da molto tempo!») del resto è guidata dai sani convincimenti appresi dalla maestra Louise Michel e proclama il suo credo: «l’ingiustizia mi fa rabbia e la giustizia è ciò che voglio».

Michel Ocelot è maestro dell’animazione e in questa sua nuova fatica, (ha fatto quasi tutto: sceneggiatura, storyboard, modelli, immagini, regia) raffina oltremodo la sua tecnica di disegno e «ritaglio» iconografico, sostenuto da un 3D, tanto più reale quanto più si mantiene in una dimensione piatta: un ultra ligne claire, rivestita di colori netti, senza tratteggi e linee nere pesanti.

I panorami parigini scorrono su più piani, e i dettagli risaltano nei vestiti femminili, nelle foglie, nei fiori dei giardini, nelle etichette dei liquori sulle mensole dei café, nei manifesti affissi sulle tipiche colonne Morris che ancora oggi decorano le vie di Parigi.

E Parigi è davvero la protagonista principale: «È lei che mi ha chiesto di fare il film – dichiara Ocelot – e mi ha detto che potevo andare dove volevo». E il regista lo ha fatto, scattando 16.000 fotografie di strade, palazzi, giardini, musei (ha avuto libero accesso nei giorni di chiusura, senza il pubblico), perfino nelle fogne: «Nessuna ricostruzione nostalgica, però, e molta fantasia, perché – aggiunge – questa civiltà è ancora integra. Questo è il lavoro che amo. Morirò disegnando contento e soddisfatto del mio lavoro». Intanto Ocelot (73 anni) sta già disegnando il prossimo film sulla Turchia del 18° secolo. Lunga vita a lui e alla sua poesia civile.