Franceschini, ancora? A proposito della sua riconferma alla Cultura



E Franceschini sarebbe il migliore? Il ministro democristiano che si è ben adattato a tutti i governi: Renzi, Gentiloni, Conte e ora Draghi?
Il ministro che ha costantemente e pervicacemente legato la cultura e i beni culturali al mercato, il ministro che ha decretato ufficialmente la mercificazione della produzione artistica e del patrimonio culturale? Il ministro che ha fatto le peggiori riforme del cinema e dei beni culturali?

Franceschini è stato il ministro che in tutti questi anni e in tutti questi governi ha lasciato tutti i settori della produzione, delle attività e dei beni culturali allo sbando.

Franceschini è un ministro della cultura che prende in considerazione la cultura e i beni culturali solo in quanto e se possono produrre utile economico. Che considera la cultura nient’altro che “tempo libero”, oltretutto non “redditizio”.

Che durante la pandemia ha fatto chiudere musei, gallerie, sale cinematografiche e teatrali, sale per concerti e biblioteche lasciando aperti i centri commerciali (questi sì utili al Paese).

Un ministro della cultura che ha sempre più e ostinatamente eliminato il sostegno diretto alla produzione e ai beni culturali sostituendolo con quello indiretto della defiscalizzazione alle imprese: che vuol dire appunto più sei forte sul mercato più lo Stato ti sostiene.

Un ministro della cultura che in tutti questi anni non ha fatto nulla per dare dignità e diritti ai lavoratori della produzione artistica e dei beni culturali.
Ma la cultura non è una merce. È, insieme alla formazione, uno degli strumenti più importanti di conoscenza della realtà, di formazione di una coscienza critica: la cultura, la molteplicità delle culture sono nutrimento delle intelligenze, antidoto al pensiero unico e all’omologazione culturale. E dunque strumento della lotta contro il genocidio del mercato, il neoliberismo, le disuguaglianze, le discriminazioni, le guerre.

Occorrono allora riforme strutturali per combattere la precarietà e l’intermittenza del lavoro nei beni e nelle attività culturali e che riconoscano ai lavoratori della cultura diritti e ammortizzatori sociali.
Occorre riportare al centro il ruolo dello Stato anche nella cultura, nella consapevolezza che l’unico utile da ricercare è l’utile sociale; occorre che la cultura, la sua produzione e la sua fruizione, diventi realmente un diritto di tutti, come sancito dalla Costituzione. Che la si consideri un valore in sé, uno degli strumenti più importanti per una reale democrazia.

Ma, come richiesto da Mattarella, il profilo di questo governo è evidentemente “talmente alto” e legato alle banche e alle imprese da non aver bisogno della cultura.